Spazio satira
Il report
14.04.2025 - 17:00
Sono 13,5 milioni gli italiani a rischio povertà o esclusione sociale, pari al 23,1% della popolazione. È quanto emerge da uno studio della Cgia di Mestre basato su dati Istat ed Eurostat. Si tratta di un dato allarmante, che conferma la fragilità economica di un’ampia fetta del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, dove vive il 57% dei soggetti in difficoltà, vale a dire 7,7 milioni di persone.
La Campania è la regione con il numero assoluto più elevato (2,4 milioni), seguita da Sicilia (1,9 milioni), Lazio (1,5 milioni) e Puglia (1,46 milioni). Se si guarda invece alla percentuale rispetto alla popolazione, il primato spetta alla Calabria, dove quasi un abitante su due (48,8%) è in condizioni di disagio economico. Seguono Campania (43,5%), Sicilia (40,9%) e Puglia (37,7%). Con il Lazio che, in termini percentuali, si posiziona al settimo posto (vedi grafico). Un dato di fondo che fotografa le disuguaglianze territoriali storiche del nostro Paese e che si sono aggravate a causa delle crisi degli ultimi vent’anni.
Autonomi più a rischio
Ma il dato più sorprendente arriva dal mondo del lavoro: i lavoratori autonomi sono più esposti al rischio povertà rispetto ai dipendenti. Lo conferma il confronto tra famiglie con capofamiglia autonomo e quelle a guida dipendente. Nel primo caso la quota a rischio è del 22,7%, nel secondo scende al 14,8%. Una differenza netta, che smentisce il luogo comune secondo cui le partite Iva sarebbero più “ricche” o più “furbe”. I numeri mostrano che oggi chi lavora in proprio è spesso più fragile. La Cgia sottolinea infatti che negli ultimi vent’anni il reddito degli autonomi è crollato del 30%, mentre quello dei dipendenti si è ridotto dell’8%. Per i pensionati, il dato resta sostanzialmente stabile anche se, tra le categorie monitorate dall’Istat, si confermano la più disagiata economicamente e socialmente. Per i pensionati il rischio povertà delle famiglie supera addirittura il 33%. Oggi in Italia si contano oltre 5,1 milioni di lavoratori autonomi, di cui quasi la metà in regime forfettario, con fatturati inferiori agli 85.000 euro annui. Si tratta in molti casi di soggetti senza dipendenti e senza strutture d’impresa, che operano in solitudine, spesso senza tutele, con entrate discontinue e poca visibilità. In particolare nel Mezzogiorno, dove giovani, donne e over 60 fanno fatica a trovare forme di sostegno pubblico o protezione sociale. Questa fascia di popolazione, come evidenzia lo studio, è anche la più esposta ai ritardi nei pagamenti, alla concorrenza della grande distribuzione prima, e dell’e-commerce poi. Il crollo della domanda interna, infine, ha assestato un ulteriore colpo.
Cos’è il rischio di povertà
Ma cosa si intende esattamente per rischio povertà o esclusione sociale? È un indicatore composito che tiene conto di tre condizioni, anche alternative tra loro. Una persona è considerata a rischio se rientra in almeno una delle seguenti categorie: vive in una famiglia con reddito equivalente inferiore al 60% del reddito mediano disponibile. Per una persona sola, la soglia nel 2024 è di 12.363 euro annui, ovvero poco più di 1.000 euro al mese; vive in una famiglia in grave deprivazione materiale e sociale, ovvero priva di almeno sette beni o attività essenziali tra quelli elencati dall’indicatore “Europa 2030” (tra questi: impossibilità di sostenere spese impreviste, fare una vacanza, riscaldare la casa, sostituire mobili o vestiti consumati, accedere a internet, svolgere attività di svago o vedere amici); vive in una famiglia a bassa intensità lavorativa, cioè dove il lavoro effettivo è inferiore al 20% del tempo disponibile. Le persone sono conteggiate una sola volta anche se rientrano in più sottogruppi. È quindi un parametro che non si basa soltanto sul reddito dichiarato – spesso contestato nel caso degli autonomi – ma su un insieme di fattori economici e sociali.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione