Spazio satira
L'intervista
10.02.2025 - 10:00
L'ingresso dello stabilimento Stellantis di Piedimonte San Germano
Una crisi dalle dimensioni perlomeno europee, che sta impattando in maniera fortissima sull’Italia. Parliamo del settore dell’automotive. In provincia di Frosinone c’è lo stabilimento Stellantis, ex Fiat. Per decenni è stato il fulcro dello sviluppo, guardando anche all’indotto. Quali possono essere le prospettive? Ne abbiamo parlato con Lino Perrone, presidente del comparto Automotive di ConfimpreseItalia, l’associazione di categoria diretta da Guido D’Amico.
Allora Perrone, quanto è preoccupante questa crisi? E quali i motivi?
«Molto preoccupante. Le cause vanno ricercate nelle regole date dall’Europa, totalmente inapplicabili e assurde nell’ottica del mercato. Mi riferisco al Green Deal e a tutto il resto. Dopo due anni tutti si sono accorti che è stata raccontata una favoletta priva di riscontri. Tutti i grandi gruppi europei del settore sono in affanno. Mercedes e Porsche hanno rivisto totalmente la produzione dell’elettrico e tutti, dico tutti, stanno riconvertendo. Lo affermo senza timore di smentita: se si ferma l’automotive, allora si ferma l’Europa. L’elettrico non ha funzionato e non funziona, l’unica speranza è la riconversione. Teniamo presente che il fulcro economico e produttivo del Vecchio Continente è quello del manifatturiero. I disastri dell’ideologia green hanno fatto la fortuna e la gioia dei competitors delle altre zone del mondo».
E adesso che succede?
«L’auspicio è che si proceda rapidamente lungo la strada di una riconversione totale. Ma teniamo presenti alcuni fattori. La Cina è una gigantesca industria di Stato. Ed è proprio lo Stato a coprire ogni tipo di perdita. Inoltre il mercato asiatico è sterminato ed “esportabile” senza alcun problema. Per via dei minori costi di produzione, ma non solo. Non è stato neppure casuale che gli Stati Uniti abbiano cambiato per tempo (e bene) le loro politiche economiche. Anche per quanto riguarda l’automotive. L’Europa invece è stata travolta da una valanga di regole inapplicabili, assurde e deleterie».
Presidente, veniamo all’Italia. E quindi alla situazione che riguarda Stellantis.
«Intanto va ribadito il concetto che tutti i top player europei dell’automotive sono in crisi. Basta vedere Volkswagen. Tutti tranne Bmw, che negli anni ha effettuato scelte meno radicali. Stellantis paga le decisioni scellerate imposte dall’Unione Europea. È evidente che la nostra provincia conosce bene questa situazione, perché c’è l’importante stabilimento di Piedimonte San Germano. Però va rimarcato che in un settore del genere le scelte si fanno perlomeno cinque anni prima. E oggi infatti si stanno pagando le strategie disegnate nel 2020. Ora ci si è resi conto degli errori. Va detto che però lo stabilimento cassinate (unitamente a quello di Melfi) era stato tenuto in considerazione. E lo è anche adesso. Mi riferisco all’immissione dei modelli nuovi e pure a quanto era emerso nella riunione del Ministero. Con l’orizzonte del 2027. Poi è incontrovertibile che i fermi produttivi hanno degli effetti negativi sotto ogni punto di vista. Lo stabilimento di Cassino per lavorare a pieno regime su due turni deve avere una produzione di circa 500 vetture al giorno, con le auto full electric la produzione è di pochissime decine di vetture al giorno. Per come la vedo io, si può alimentare qualche speranza per il futuro soltanto imboccando con decisione la strada di una riconversione della produzione. L’elettrico non funziona. Punto. Ecco perché il “termico” e “l’ibrido” possono rappresentare l’unica valvola di salvezza. Il problema non riguarda soltanto Cassino. E neppure esclusivamente Stellantis. Il punto è che parliamo di un modello che non funziona. E a dire che non funziona è il mercato: l’elettrico non è pratico e ha dei costi improponibili. Punto. Per come la vedo io il ragionamento dovrebbe essere il seguente: mettiamo in conto due anni di ulteriori “sofferenze”, con la prospettiva concreta però di arrivare ad una piena riconversione del modello. Soltanto in questo caso si potrebbe avere un certo ottimismo».
C’è poi l’enorme problema dell'indotto.
«Beh, è tutto direttamente proporzionale. Come si può pensare che un indotto come quello relativo allo stabilimento cassinate può reggere se l’elettrico non si vende? Faccio sommessamente notare che un certo Sergio Marchionne aveva previsto tutte queste criticità in tempi non sospetti. Proprio con riferimento al fallimento delle vendite delle auto full electric».
Pessimista per il futuro?
«Nonostante tutto no. Intanto perché stiamo parlando di uno stabilimento e di un indotto che insieme contano circa 25.000 posti di lavoro. Se poi si effettua il ragionamento su base nazionale, i numeri si moltiplicano. Il Paese non potrebbe reggere un impatto così devastante in termini di occupazione e di riflessi sociali. Oltre che economici. Credo che ci si salvi soltanto con un bagno di realismo. Non serve a nulla essere tifosi e men che meno faziosi. Sicuramente la situazione è delicata, ma ripeto: non credo nella chiusura degli stabilimenti. Non lo considero uno scenario credibile. La cosa fondamentale è però prendere atto che l’ubriacatura degli anni passati ha prodotto danni enormi. Ragione per la quale il sistema delle regole imposte dall’Europa su questo settore va definitivamente archiviato. Altrimenti, di cosa possiamo parlare?».
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione