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Economia

BpF: c’è l’interesse di Banco Desio

L’istituto lombardo sarebbe pronto ad acquistare le quote della Banca popolare del Frusinate. Se da un lato l’operazione potrebbe mettere in sicuro il futuro, dall’altro restano troppe incognite e alcune resistenze

BpF: c’è l’interesse di Banco Desio

La sede della Banca Popolare del Frusinate di piazzale De Matthaeis

Venerdì della settimana scorsa, poco prima dell’inizio dell’ultimo Cda della Banca Popolare del Frusinate, sarebbe arrivata all’attenzione del presidente e degli amministratori una comunicazione informale che, secondo fonti del nostro quotidiano, metteva a conoscenza i membri del Cda sull’interesse di Banca Desio ad un’operazione di acquisto delle quote della banca del capoluogo. La comunicazione sembrerebbe aver colto di sorpresa il board di piazzale De Matthaeis che, secondo una prima ricostruzione dei fatti, avrebbe cercato di prendere tempo per giungere ad un approfondimento ufficiale riguardo l’iniziativa promossa da parte della banca guidata dal presidente Stefano Lado e dall’ad Alessandro Decio. Banca di dimensioni piuttosto grandi che ha oltre 2.000 dipendenti e quasi 300 sportelli diffusi soprattutto in Lombardia, nelle regioni del Nord e del Centro Italia.

La notizia, trapelata soltanto nelle scorse ore, è il segnale che intorno alla Banca di piazzale De Matthaeis, dopo le vicende giudiziarie di un anno fa (tra l’altro ancora al vaglio di approfondite analisi da parte degli inquirenti) e dopo l’ispezione di Bankitalia, si cominciano a muovere gli interessi del mondo bancario e che, al momento, non è possibile escludere alcuna soluzione. Da un lato la presidenza affidata a un banchiere di lungo corso come Carlo Salvatori e l’innesto di tecnici indipendenti nel Cda lasciano intuire il possibile gradimento per una soluzione di “sistema” sganciata da logiche territoriali per l’istituto fondato nel 1992. Una strada che metta al sicuro il futuro della banca, dei suoi clienti e cerchi in qualche modo di tutelare la platea dei soci. Che però potrebbe anche non tenere conto degli aspetti legati ai valori, alla storia e al rapporto con il territorio di un’istituto che si è sempre rilevato strategico (e in alcune circostanze decisivo) per l’economia del Basso Lazio e non solo.

Dall’altro lato, nella richiesta di non prendere in considerazione, almeno per ora, l’iniziativa dell’istituto di credito lombardo, c’è proprio l’aspetto sociale e l’imprinting di banca popolare che una parte importante e forse maggioritario del Cda, ci risulta voglia cercare comunque di tutelare. In un momento di profonda trasformazione dell’attività bancaria che deve affrontare la sfida della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, sfida che presuppone importanti investimenti e una revisione del modello di business (invito peraltro rivolto ufficialmente alla governance del Frusinate dagli ispettori di Palazzo Koch) sembra però assai strano che si stia tentando una soluzione che non passi per un approfondito ragionamento di sistema di carattere territoriale basato sul presupposto che nel Lazio operano ben quattro banche popolari di buone dimensioni che, tutte insieme o almeno in parte, potrebbero lavorare ad un progetto che, al contrario di una semplice e fredda cessione della maggioranza delle quote, assumerebbe le caratteristiche virtuose di un rafforzamento. Piuttosto che lasciare libero il campo a operazioni di tipo esclusivamente finanziario che finirebbero per assumere i tratti di un salvataggio che a detta degli analisti del settore non sembra necessario per redditività, patrimonializzazione e clientela della Bpf.

Sullo sfondo di operazioni di questo tipo ci sarebbero poi i risvolti occupazionali, le incognite sul futuro del personale dipendente ma anche e soprattutto le ansie e le preoccupazioni di tanti imprenditori, dai più piccoli fino alle imprese di grandi dimensioni, che hanno sempre trovato nel rapporto diretto con la banca, oggi guidata dal direttore generale Domenico Astolfi, un non certo trascurabile fattore di crescita in un contesto territoriale e temporale molto difficile messo a dura prova da anni di crisi e ancora alla ricerca di una nuova vocazione, e di un nuovo modello di sviluppo, dopo le illusioni vissute nell’epoca della Cassa del Mezzogiorno e nella crisi più lunga e buia dell’automotive che sta interessando il sud della provincia e tutto l’indotto Stellantis.

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