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Frosinone

Alta Velocità e aeroporto per il decollo

Le opere che servono davvero per poter rilanciare la Ciociaria. Fondamentale anche un collegamento stradale più rapido con Latina

Alta Velocità e aeroporto  per il decollo

Quella rassegnazione passiva che taglia le gambe sul nascere ad ogni ipotesi di rilancio economico e di sviluppo. Quel fatalismo misto a inerzia che conduce sempre alla stessa conclusione: “Non si può fare”. Come se la Ciociaria fosse condannata ad una lenta e inesorabile decrescita infelice. Impedendo una visione di territorio non soltanto proiettata al futuro ma anche concentrata sul presente per cogliere le opportunità che invece si presentano. Canta Jovanotti: «La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare». E invece dalle nostre parti prevale sempre il terrore di fallire. La conseguenza è che la sonnolenta e impigrita classe dirigente (non solo politica) preferisce non mettersi mai in gioco. Poco da girarci intorno: il trend si cambia attraverso le infrastrutture finalizzate a potenziare i trasporti e i collegamenti. Il fulcro doveva essere la stazione dell’Alta Velocità, che avrebbe rappresentato anche una spinta enorme per la realizzazione di quell’aeroporto civile che non è vietato… per legge. Poi naturalmente ci sono altri aspetti. Uno in particolare: la partita dei collegamenti va aperta, giocata e vinta nell’ottica del Basso Lazio. Insieme alla provincia di Latina. Ma se arrivare in territorio pontino vuol dire, ancora oggi, intraprendere una sorta di viaggio della speranza, allora significa non avere né orizzonti né prospettive. La domanda è: c’è il coraggio necessario per riaprire questi discorsi?

LA STAZIONE TAV
Le fermate dell’Alta Velocità inaugurate nel giugno 2020 dovevano rappresentare il primo passo per arrivare alla realizzazione di una stazione Tav. Invece sono diventate il punto di arrivo di una situazione che non ha spostato di una virgola le dinamiche di questa provincia. Il Frecciarossa ferma soltanto due volte in una giornata: alle 6.03 a Cassino e alle 6.35 a Frosinone in direzione Milano. Alle 17.41 a Frosinone e alle 18.11 a Cassino per poi raggiungere Napoli. Un’offerta assolutamente insufficiente, al punto che tanti ciociari che per motivi di studio o di lavoro devono spostarsi al Nord preferiscono salire a bordo del treno Superveloce a Roma. In orari più comodi e funzionali. Anche perché c’è un equivoco di fondo: nel tratto ferroviario compreso tra Sgurgola e Cassino il Frecciarossa non procede… ad alta velocità. Lo switch sulla linea “vecchia” comporta una perdita di 18-21 minuti. E questo già di per sé è un elemento che non determina un effetto traino. La svolta era e resta una sola: la stazione dell’Alta Velocità. Era stata individuata tra Ferentino, Sgurgola, Supino e Morolo, in una zona delimitata dal fiume Sacco, da via La Mola, via della Farna e via Vado del Tufo. A due passi (800 metri) dal casello autostradale di Ferentino, a meno di dieci chilometri da quello di Frosinone e praticamente all’imbocco della superstrada Ferentino-Frosinone-Sora. Ma per passare dalla fase delle chiacchiere a quella del progetto vero bisognava fare di tutto per riuscire a determinare l’inserimento dell’opera nel Piano industriale decennale di Ferrovie dello Stato, quello 2022-2031. Nel quale sono stati previsti 190 miliardi di euro.

Questo obiettivo è stato clamorosamente fallito, anche per un atteggiamento “campanilistico” che da anni penalizza il territorio. Perché c’è stato chi ha pensato che la stazione Tav potesse essere prevista a Frosinone (impossibile). Perché per tanti esponenti politici cassinati la stazione Tav andrebbe realizzata a Roccasecca (San Vito), pure in quel caso vicino al casello autostradale. Tutto legittimo sul piano teorico, ma le grandi opere che cambiano i destini di una provincia hanno bisogno di unità di intenti e di decisionismo pragmatico. Altrimenti si finisce con il guardarsi l’ombelico. E basta.

La stazione Tav era stata individuata in quell’area precisa, tra Ferentino, Sgurgola, Supino e Morolo. Perché, come ha detto la presidente di Unindustria Frosinone Miriam Diurni, «la stazione Tav è una priorità assoluta, come l’autostrada del Sole negli anni 60 e va considerata come un’opera di bacino, a servizio anche della provincia di Latina e di alcune zone dell’Abruzzo e del Molise». Perciò andava effettuato uno studio di fattibilità per confermare che l’opera è sostenibile sotto ogni punto di vista. Per evidenziare che rappresenterebbe un valore aggiunto enorme, come è successo per la stazione di Reggio Emilia Mediopadana. Al contrario ci si è limitati alla solita e sterile lotta tra campanili. La strada invece doveva (e dovrebbe) essere un’altra: un’interlocuzione e un confronto vero e argomentato con Rfi, Rete Ferroviaria Italiana. Presentandosi con un progetto che metta in evidenza come una stazione Tav in quell’area diventerebbe un’infrastruttura-architrave per i collegamenti sinergici tra rotaia e gomma. Un punto di riferimento e uno snodo imprescindibile per il traffico delle merci. Senza dimenticare però i passeggeri. Nel 2020, in occasione dell’inaugurazione delle fermate a Frosinone e Cassino, l’allora amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Gianfranco Battisti, nel corso della conferenza di presentazione del progetto, parlò chiaramente di un «bacino potenziale di un milione di passeggeri». Passeggeri, non soltanto merci. E sempre in quell’occasione si sottolineò la necessità per la provincia di Frosinone di agganciare il “treno” del collegamento veloce con il Nord del Paese e con l’Europa. Perfino in direzione Scandinavia.

Ma c’è la possibilità di riprendere il discorso? Nel 2022 (due anni fa) Ferrovie dello Stato fece sapere che «riguardo all’elenco degli interventi che il Gruppo FS condurrà nel Lazio nell’arco di Piano 2022-2031, occorre precisare che quello diffuso è un elenco rappresentativo di alcune tra le principali opere, ma non affatto esaustivo di tutti gli investimenti e i progetti previsti e oggetto di studio. Tra questi c’è anche la stazione Tav di Ferentino - Supino, sulla linea ad Alta Velocità Roma - Napoli». Varrebbe la pena di verificare se i margini ci sono ancora.
Il progetto della stazione Tav era stato inserito dalla Regione nella linea strategica 1 (Modernizzazione del Paese) nell’ambito del piano “Next Generation Lazio” finanziato con i fondi del Pnrr. L’investimento previsto, così come riportato nelle schede tecniche, era di circa 80 milioni di euro. Alla Ciociaria, però, non servono contentini e subordinate. Occorre la stazione Tav come (e dove) era stata pensata. Lungo la tratta dove già passano i treni superveloci. Esistono la volontà e il peso politico per riaprire la questione in tempi rapidi? Tutto il resto è noia.

IL COLLEGAMENTO CON ROMA
Tra gli aspetti fondamentali per un rilancio del territorio c’è soprattutto quello del collegamento veloce di Frosinone con Roma. Farlo in trenta minuti rappresenterebbe una svolta. Anche perché viaggiare in treno lungo la tratta “ordinaria” Cassino-Frosinone-Roma (e ritorno) è un’autentica impresa. Chiedere ai pendolari. Disagi, ritardi e cancellazioni sono all’ordine del giorno. Proprio i pendolari nel luglio scorso hanno indirizzato l’ennesima lettera al Ministero dei trasporti, a Rfi e alla Regione Lazio. Emblematico il titolo: “Odissea quotidiana tratta ferroviaria Roma-Cassino”. «Non siamo interessati alle vostre futili motivazioni sui disservizi», hanno scritto i pendolari. Nelle scorse settimane è successo perfino che un treno partito da Roma Termini alle 22.28 sia arrivato a Frosinone con 120 minuti di ritardo. E i viaggiatori hanno trovato la stazione chiusa, dovendosi arrangiare per uscire. In questo modo non si può andare da nessuna parte. Servirebbe però, è il caso di dirlo, un doppio binario. Nel senso che da un lato occorre puntare su un collegamento superveloce vero, ma dall’altro vanno assolutamente migliorate le condizioni (e i tempi) della tratta ordinaria.

L’AEROPORTO DI FROSINONE
Rappresenterebbe l’altra infrastruttura “chiave” per permettere alla provincia di Frosinone di… volare. Se ne parla da tempo, però è sempre mancato lo scatto decisivo. Almeno finora. Anche se da alcune indiscrezioni che filtrano dalle strette maglie del riserbo sembra che l’argomento sia tornato di attualità perfino sui tavoli ministeriali. Due anni fa, in un’intervista al quotidiano La Repubblica, il presidente dell’Enac Pierluigi Di Palma disse: «Noi non chiediamo formalmente la chiusura di Ciampino. Certo segnaliamo le gravi criticità di quella realtà, che è troppo innervata nel tessuto della città, crea disagio ai residenti tra smog e rumori, e non ha la possibilità di espansione, come arrivi e decolli. La soluzione? Porta all’aeroporto militare di Frosinone, il Girolamo Moscardini, che andrebbe ristrutturato e aperto alle compagnie civili». Un’opzione condivisa sempre da Alfredo Pallone, per anni membro del cda dell’Enac. Il quale ha ripetuto costantemente lo stesso concetto: «Frosinone rappresenta la soluzione naturale nel caso in cui si voglia intraprendere la strada del terzo scalo aeroportuale del Lazio. Perché dotata di collegamento ferroviario ad elevata intermodalità, disponendo di una direttrice ferroviaria Roma-Frosinone già pronta. Per non parlare del collegamento autostradale».

L’hub di Frosinone era stato inserito nel piano straordinario di riassetto degli aeroporti dell’Enac.
Va detto che l’Aparf (Associazione Progetto Aeroporto di Roma Frosinone) ha continuato a lavorare a fari spenti su questo versante negli ultimi anni. E nelle prossime settimane ci sarà un importante convegno su tale tematica. Chiudiamo un attimo gli occhi e immaginiamo quale spinta per il territorio potrebbe arrivare dal combinato disposto aeroporto - stazione Tav. E chissà che alla fine l’accelerazione sullo scalo civile possa determinare un imprimatur pure sull’Alta Velocità. Numeri e logistica ci sono. Per quanto riguarda il sistema aeroportuale del Lazio, sono previsti 73 milioni di passeggeri entro il 2035 e 100 milioni entro il 2050. Infatti Tiziano Schiappa, presidente di Aparf, dice: «Per anni e specialmente negli ultimi 12 mesi la nostra associazione ha continuato a lavorare a fari spenti, cercando di fare da collante tra istituzioni, stakeholders e addetti ai lavori, per dare al territorio di Frosinone l’opportunità di candidarsi quale terzo aeroporto civile del Lazio, per supportare i due hub romani nella gestione del sempre crescente volume del traffico aereo. Siamo in attesa delle indicazioni che saranno fornite dal nuovo Piano Nazionale Aeroporti del MIT, ormai di prossima pubblicazione, e il meeting che abbiamo organizzato a Roma per il 18 settembre punta a fornire un ulteriore momento di confronto e dibattito su una tale soluzione che, a nostro avviso, resta quella più conveniente e facilmente percorribile».

L’aeroporto civile di Frosinone avrebbe un collegamento rapidissimo (3 minuti) con il casello autostradale di Ferentino. Stesso discorso con la superstrada Ferentino-Frosinone-Sora. E con quella Frosinone-Terracina. Il collegamento ferroviario esiste, ma la stazione Tav determinerebbe una centralità logistica con pochi paragoni sul piano del sistema infrastrutturale nazionale.
Il tema dello scalo aeroportuale civile è stato affrontato pure in passato, ai tempi di Francesco Scalia presidente della Provincia. Nel 2003 la Regione Lazio deliberò uno stanziamento di 250.000 euro. Nel 2009 l’allora presidente di Adf spa (Società Aeroporto di Frosinone) Giacomo D’Amico arrivò a convocare la prima riunione della conferenza dei servizi (per il 28 ottobre), con tutti gli enti interessati. All’ordine del giorno lo studio di fattibilità per la realizzazione del polo aeroportuale di Frosinone. Un traguardo raggiunto. Poi le cose sono andate diversamente, anche per il solito “braccino” di una classe dirigente che si ferma sempre prima del traguardo. La volontà politica (anche della Regione) non mancava. Vero che esistevano dei pareri contrari degli enti tecnici, per esempio l’Enac. Soprattutto per quanto concerne condizioni di incompatibilità con le attività addestrative svolte dall’Aeronautica militare. Situazione destinata a cambiare, però, nel caso di trasferimento della scuola di volo per elicotteristi da Frosinone a Viterbo. Come stabilito. Certamente per arrivare a dama su un’infrastruttura del genere non c’è alternativa ad una volontà politica forte, netta e condivisa.

LE STRADE... DA FARE
Non da ultimo (anzi) i collegamenti viari. Cominciamo con il dire che la 156 dei Monti Lepini che unisce Frosinone e Latina è una strada ormai ampiamente superata, obsoleta e assolutamente non all’altezza delle ambizioni di due province che puntano su un valore aggiunto chiamato Basso Lazio. Per percorrere i 53 chilometri che separano i due capoluoghi occorrono 56 minuti, senza traffico. Ma si arriva anche ad un’ora e un quarto nei giorni normali, con il traffico. Per non parlare dell’estate. Poco da aggiungere. Una situazione che penalizza i collegamenti, ma anche l’economia, il commercio, il turismo. Continue file, colli di bottiglia, rotatorie che non velocizzano lo scorrimento del traffico. Per non parlare delle condizioni dell’asfalto e della necessità di una manutenzione continua e sistematica. Da quanti decenni si parla della necessità di un raddoppio dell’arteria? Poi però (se e quando va a bene) al massimo si riescono a fare degli interventi sporadici. Che non risolvono il problema. Gli impegni, sempre e soltanto declamati e mai declinati in progetti preliminari, esecutivi e finanziati, durano il tempo di una campagna elettorale. Anche qui occorrerebbe un cambio di passo politico e operativo, che abbia come obiettivo perlomeno... una conferenza dei servizi.

Poi c’è la dimensione onirica. Da quanto sentiamo parlare (e basta) di Corridoio Tirrenico? Cioè di un collegamento tra il Tirreno e l’Adriatico che “passi” attraverso le province di Frosinone e Latina sia su gomma che su rotaia? Per anni la discussione è ruotata attorno alla Sora-Ceprano-Fondi. Si è arrivati perfino a firmare qualche protocollo d’intesa, coinvolgendo Comuni e Province (di Frosinone e de L’Aquila). Puntando sulla riqualificazione urbana e sullo sviluppo sostenibile del territorio. Il Prusst. Però alla fase operativa non si è mai arrivati. Inoltre ogni tanto torna di attualità (ma soltanto nel panorama delle idee) la superstrada Atina-Isernia. L’idea del collegamento veloce risale al 1975 e il Cipe la inserì nel progetto speciale “Dorsale appennica”. Nel 1999 e nel 2001 furono effettuati alcuni passaggi ulteriori, ma ad un certo punto fu chiaro a tutti che per realizzare un’opera del genere in quella zona erano necessari tunnel e sopraelevate. Alla fine il progetto è finito nel dimenticatoio. Anche se ogni tanto qualcuno prova a “resuscitarlo”. Ma così, tanto per parlarne. Eppure la superstrada Atina-Isernia, allungata fino a Sora, magari con un possibile innesto con la Cassino-Sora-Avezzano, davvero sarebbe una svolta. E quante volte abbiamo sentito rispolverare (nelle diverse campagne elettorali) la proposta del “treno fra due mari”, vale a dire la realizzazione della linea ferroviaria Gaeta-Vasto, nel corridoio trasversale Tirreno-Adriatico? Per unire, appunto, i porti di Gaeta e Vasto, mettendo in contatto le aree industriali dell’Abruzzo e del Basso Lazio. Negli anni passati i Consorzi industriali del Lazio Meridionale e del Sud Pontino, unitamente al Comune di Cassino, hanno chiesto che fosse prevista la ferrovia Gaeta-Formia-Cassino.

Il problema è che argomenti così delicati necessitano di progetti credibili e risorse certe. Le grandi opere hanno bisogno di una visione di sistema e di territorio. Perché occorre tempo per realizzarle e questo vuol dire andare oltre la durata dei singoli governi, nazionali, regionali, locali. Inoltre per fare sul serio è necessario redigere i progetti preliminari e poi quelli esecutivi, reggere l’urto degli inevitabili ricorsi ai tribunali amministrativi. Fronteggiando spesso un ecologismo radicale che ha poco a che fare con la legittima salvaguardia dell’ambiente, che però non significa bocciare in maniera aprioristica ogni intervento finalizzato a creare sviluppo e occupazione. Quindi, i tempi della burocrazia. Il minimo comun denominatore è duplice. Da un lato tutti sanno quali sono le opere che davvero cambierebbero la narrazione in Ciociaria. Dall’altro lato però si tratta di proposte declinate sempre e soltanto al condizionale. Mai al “presente”, inteso come il tempo dell’attualità e della concretezza. Il corto circuito è qui.

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