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Frosinone

Romina uccisa perché voleva essere libera

La Corte d’assise ha depositato le motivazioni della condanna a 24 anni di Pietro Ialongo. L’ex fidanzato, che continuava a condividere l’appartamento con lei, incapace di accettare la decisione di Romina di andarsene

Romina uccisa perché voleva essere libera

La Corte d’assise di Frosinone mentre legge la condanna a 24 anni contro Pietro Ialongo per l’omicidio dell’ex ragazza Romina De Cesare

Romina è stata uccisa in un clima di gelosia e ira crescenti, quando l’ex fidanzato Pietro Ialongo ha preso coscienza della rottura definitiva della relazione. Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna a 24 anni per l’omicidio di Romina De Cesare, la giovane molisana accoltellata nell’appartamento di via del Plebiscito il 2 maggio 2022.

La Corte d’assise di Frosinone, presidente ed estensore il giudice Francesca Proietti, ha depositato le motivazioni della condanna. Compresi i risarcimenti danni al padre e al fratello della vittima (provvisionale immediatamente esecutiva di 100.000 euro in favore del primo e di 70.000 per il secondo), assistiti dagli avvocati Danilo Leva e Fiore Di Ciuccio. Ialongo, che, nel frattempo, ha cambiato avvocato e sarà difeso dall’avvocato Marilena Colagiacomo, dovrà preparare l’appello.

«La Corte ritiene che Ialongo era pienamente capace di intendere e di volere quando ha colpito a morte Romina, condividendo le conclusioni del dottor Nicolucci non solo per la loro congruità scientifica ma anche - e soprattutto - perché fondate sula valutazione dell’imputato e del materiale probatorio raccolto in dibattimento». E ancora: «Egli, sin dal momento della cattura, è apparso calmo e tranquillo e, nonostante la presenza di ferite auto-inferte, non ha manifestato sintomi di natura psichiatrica neppure dopo la carcerazione... Non solo: ha risposto volontariamente alle domande della pubblica accusa, contribuendo subito alla ricostruzione della condotta omicidiaria, nel tentativo di spiegare, anche a se stesso, un gesto così grave».

La Corte descrive «Pietro, incapace di accettare la decisione di Romina di andarsene e la libertà riconquistata dalla donna». Se ne va dai genitori, ma all’improvviso torna a Frosinone, «attuando, ancora una colta, il controllo non richiesto della ex».
Un passaggio della sentenza è dedicato alla gelosia: «Ha contestato la relazione appena intrapresa - relazione classificabile come mera “amicizia” visti i primi contatti tra i due - e ha preteso di verificare quali fossero le intenzioni del giovane, per poi rinfacciare a Romina di essere una poco di buono e di pensare solo ai propri bisogni di tipo sessuale. Ha cercato di tenerla legata a sé attraverso una sporta di ricatto morale, invocando la passeggiata, mano nella mano, di Pasquetta».

Poi anche questioni economiche: «Si è spinto poi a pretendere la restituzione di quota parte del denaro speso per le esigenze comuni, insorte durante la convivenza, invocando persino l'intervento, a spese della donna, di un legale. Ha reagito bruscamente al tentativo di resistenza verbale di Romina, che ha cercato di zittire Pietro rappresentandogli le sue difficoltà economiche e l’impossibilità di restituire in un unica soluzione, subito, il denaro; in questo frangente, l’imputato ha voluto ribadire la propria posizione di forza e la perentorietà/insindacabilità delle sue decisioni».

La Corte parla di «lucidità dei gesti» e cita i messaggi scritti da Ialongo dopo il delitto: “non volevo ucciderla, la amo”; “ho provato in tutti i modi a suicidarmi”; “cercherò di morire di sete e di fame”.
Un riferimento anche alle diverse conclusioni cui sono giunti i consulenti medici Peppino Nicolucci, indicato dalla Corte, e Ottavio Di Marco dalla difesa: «(per Di Marco si tratterebbe di disturbo non specificato, che si manifesta come disturbo passivo/aggressivo o disturbo dipendente - per Nicolucci si tratterebbe di personalità narcisistica/ossessiva)».

Ma al tempo stesso i medici convergono sugli «effetti sul comportamento di Ialongo: egli ha usato le sue condizioni fisiche per indurre Romina a restare con lui e per giustificare la forma di controllo della donna quando ella ha deciso di lasciarlo definitivamente».

I giudici evidenziano che «Ialongo era pienamente capace di comprendere il significato delle proprie azioni e di volerne gli effetti: tra il 26 aprile 2022 e il 2 maggio 2022 ha controllato e assillato Romina, in un clima di gelosia e ira crescenti, quando ha preso coscienza della rottura definitiva della relazione per scelta irreversibile della vittima».
Una valutazione sui campanelli d’allarme. «Nessuno dei familiari e dei conoscenti di Pietro sembrava spaventavo o preoccupato di quel che poi in effetti è accaduto sol perché l’uomo non era considerato un violento». Mentre la zia e l’amico di Romina erano preoccupati, «tanto da consigliare alla de Cesare... di andare via velocemente, con effetto immediato>.
Ancora più netta la Corte quando parla di «ben 14 coltellate (l’ultima quella al cuore, ha provocato, infine, la morte della giovane) alla vittima», e dunque «dell’accanimento e del desiderio consapevole di annientamento di Romina, abbandonata al suo destino in piena agonia». Tanto da non preoccuparsi «di chiamare i soccorsi o di allertare le forze dell’ordine».
Sintetizzando, «Ialongo non è affetto da disturbo psichiatrico... Ha compreso il significato dei suoi gesti e ha agito al solo fine di annientare la vittima... ha atteso Romina in casa già pronto, vestito e col coltello a portata di mano; ha usato l’arma dopo un litigio, l’ennesimo; ha parzialmente lavato le tracce del delitto ed è fuggito; le diverse giustificazioni... sono solo il paravento alla personalità narcisistica e ossessiva dell’imputato».

Per la Corte «l’imputato ha sì condiviso la scelta di vivere separati in casa (scelta risalente a fine febbraio 2022) ma ciononostante la “tormentato” Romina... a casa e sul luogo di lavoro». In più «le condotte oggettivamente assillanti e non gradite hanno provocato in Romina un significativo stato d’ansia o turbamento psicologico».
Nella scelta della sanzione, la Corte ha valorizzato il comportamento processuale di Ialongo, mostratosi «collaborativo» e «manifestando dolore per l’accaduto». Tuttavia «l’amore è stato surclassato dall’ira e dall’esigenza di affermazione, senza contraddizioni di sorta, delle proprie ragioni di uomo tradito e ferito nel proprio orgoglio». Da qui la condanna a 24 anni di reclusione.

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