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Giudiziaria

Racconto choc in tribunale: ho visto la morte in faccia

Testimonianza fiume nel tribunale di Cassino. A raccontare il terrore è stata la stessa vittima della violenza del 2021. Dalla minaccia di impiccarlo con un guinzaglio al tentativo di soffocarlo con una busta. Poi il salto giù dal balcone e la fuga

tribunale cassino

Il tribunale di Cassino

«Ho visto la morte in faccia. Poi ho sentito che mi dicevano: “Adesso muori!” E mi sono buttato dal balcone». Un racconto senza veli, quelli portato ieri in aula dal giovane, parte lesa nel procedimento, aperto dopo dettagliate indagini dei carabinieri per fatti che risalgono al 2021, quando una ipotesi di furto in appartamento scatenò una violenza da Arancia meccanica che coinvolse cinque ragazzi: una sorta di giustizia fai-da-te, raccontata durante il processo ancora in corso nel tribunale di Cassino. Il quarantenne, che si è costituito parte civile attraverso l’avvocato Anna Ciaraldi, ha confermato in aula attraverso una toccante testimonianza quanto già descritto nella querela: tanta la paura di morire davanti al cappio realizzato con un guinzaglio e pure davanti a una busta per tentare di soffocarlo, nonostante la sua prontezza nel divincolarsi.

Il costrutto accusatorio, particolarmente complesso: come accertato al tempo dai militari della Compagnia di Cassino, si tratterebbe di contestazioni differenti ascrivibili al periodo che va da agosto a settembre del 2021, mosse a vario titolo a cinque indagati, tutti ragazzi residenti tra Cassino e il Cassinate. Due filoni distinti: un primo, legato alla pista di una sorta di racket delle case popolari in danno di un occupante abusivo di origini straniere. L’altro, legato a una sorta di “regolamento di conti” dopo un furto. Con telecamere di sorveglianza installate persino su una chiesa.

A tenere “unito” il primo capo di imputazione al secondo ci sarebbe per gli inquirenti un elemento cardine: la violenza. Sarebbero i metodi violenti, verbali ma anche fisici - per il gip Casinelli - a incutere terrore nelle vittime. Anche nel caso del presunto furto di oggetti in oro in un appartamento, a imporsi sono ancora i metodi utilizzati: in questo caso, per far “confessare” il malcapitato. Il quarantenne, accusato del furto, ha rigettato l’accusa, sporgendo denuncia. Denuncia in cui sono stati messi nero su bianco tutti i passaggi della violenza. E ieri, assistito dall’avvocato Anna Ciaraldi, ha ricostruito in aula i momenti drammatici vissuti a Cassino.

Ha raccontato la serata trascorsa in un bar, dove c’era karaoke; di come sia stato invitato a uscire e caricato su una Fiat Punto, picchiato e poi insultato. I cinque giovani (alcuni dei quali hanno già definito le proprie posizioni con riti diversi, assistiti dagli avvocati Cassone, Nardone e Fargnoli) avrebbero preparato addirittura una sorta di cappio. «Un cappio colore marrone - ha precisato in aula - con un collare di un cane». Che gli sarebbe stato pure provato più volte, tra schiaffi e insulti, prima di essere fatto inginocchiare. Quindi, spiega, lo avrebbero a preso a pugni e schiaffi, procurando varie lesioni. «Prendono una busta bianca con una scritta blu, io cerco di divincolarmi, senza successo» mentre alcuni dei giovani chiamano la persona che lo accusava di aver rubato l’oro.

Poi «venivo portato sul balcone con la busta in testa». «Ho sentito: “Adesso muori!” Così mi sono buttato». Un volo di circa cinque metri, non senza conseguenze. Poi l’arrivo di un suo amico e la denuncia. L’udienza è stata rinviata a novembre per continuare l’istruttoria.

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