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“Welcome to Italy”

Maxi inchiesta sull'accoglienza dei profughi: parlano gli imputati

Tre dei 22 coinvolti nel processo in aula per rendere spontanee dichiarazioni. A ricostruire la gestione delle cooperative, le emergenze e i rendiconti Paolo Aristipini, Bruno Scittarelli e Lucio Secondino

Maxi inchiesta sull'accoglienza dei profughi: parlano gli imputati

Tre dei 22 imputati del maxi processo “Welcome to Italy” martedì in aula per rendere spontanee dichiarazioni. Uno dopo l’altro, Paolo Aristipini, Bruno Scittarelli e Lucio Secondino hanno iniziato a parlare davanti al giudice per ricostruire la vita interna alle strutture negli anni incriminati, le modalità di gestione, la loro posizione. Temi delicati quelli affrontati con calma e dovizia di particolari, irrobustiti da decine di faldoni fatti arrivare per il deposito agli atti. Una documentazione imponente che non è passata inosservata. E un’udienza iniziata dopo le 11 e culminata verso le 16.30. I tre, unitamente a tutti gli altri, sono finiti nell’inchiesta aperta sui fondi destinati a vestire, nutrire e istruire i richiedenti asilo ma impiegati, secondo le accuse, per ben altre attività. Un sistema “illegale” - per gli inquirenti - che non avrebbe portato all’utilizzo dei fondi destinati ai progetti Sprar e Cas per gli scopi di legge. Questo il perno della delicata indagine, condotta a quattro mani da Fiamme gialle e Polizia e coordinata dalla procura che contesta anche il reato associativo tra le cooperative.

Il primo a esporre la propria verità è stato Aristipini, difeso dall’avvocato Claudio Sgambato, che ha ripercorso gli anni “vissuti” dalla Casa di Tom, a partire dal 2004, una realtà definita «un modello strutturato», conosciuto in tutta Italia. «Creato con immenso sacrificio» che vedeva coinvolti «non solo i Comuni e gli enti locali ma anche tutte le forze dell’ordine» attraverso incontri, confronti, visite istituzionali. Ma anche un modello che ha ispirato libri e tesi di laurea.

Inevitabile il focus su contenuti già emersi, in parte, anche nell’ultima udienza: il cambiamento delle regole del gioco con il fenomeno “emergenza nord Africa”, partita nel 2011 con l’aumento del numero degli sbarchi, le richieste delle prefetture, la rimodulazione dei servizi, i pagamenti che arrivavano sempre in ritardo e le evidenti difficoltà nel far quadrare i “bilanci” interni a fronte di enormi sforzi nell’accogliere i migranti.

«Gli alloggi degli ospiti dei progetti erano sempre situati in strutture assolutamente adeguate e che la Cooperativa si è sempre sforzata di mantenere continuamente», ci ha tenuto a precisare ricordando anche i livelli formativi per ciascun ospite come quelli rivolti ai collaboratori. Per poi chiosare: «Siamo convinti che usciremo da questo processo con il pieno conforto di aver agito in totale trasparenza senza nulla nascondere né al Fisco né agli Enti coinvolti».

Ben più piccola la realtà de “La Ginestra”, come ci ha tenuto a precisare Bruno Scittarelli, all’epoca amministratore della cooperativa e difeso da Sandro Salera. Ha raccontato il suo ruolo e le visite da parte del Nas. Le «piccole irregolarità» riscontrate talvolta e le immediate risoluzioni. «Hanno sempre accettato un numero di ospiti congruo, la somministrazione dei pasti freschi e giornalieri, il cambio del vestiario e delle lenzuola sempre assicurato come il servizio lavanderia». Ha parlato anche delle altre ipotesi di reato a lui contestate per poi concludere dichiarando di aver sempre avuto «un grandissimo rispetto per la magistratura e credo di averlo dimostrato avendo partecipato a tutte le udienze. Sono sollevato dal fatto che sia l’istruttoria dibattimentale, attraverso le testimonianze, sia l’ampia documentazione (si tratta di diecimila pagine prodotte) dimostrano la assoluta correttezza del mio operato».

Oltre due ore di spontanee dichiarazioni da parte di Lucio Secondino (difeso dall’avvocato Paolo Marandola), partito dal suo primissimo approccio con la realtà dell’accoglienza migranti prima del suo ruolo di presidente nella cooperativa “Lavoro per la Salute”. Passo dopo passo, gara dopo gara. Ha spiegato (e prodotto in altrettante migliaia di pagine) come sono stati effettuati tutti i servizi, consegnati tutti i beni ai profughi, formato il personale necessario fino ad evidenziare anche una particolare tipologia di accoglienza “diffusa”: anziché inserire i profughi in un albergo “già pronto” si sono privilegiate tante piccole strutture, maggiormente gestibili, nei centri cittadini. Un modello che avrebbe favorito anche l’integrazione nelle singole realtà territoriali.

Ha parlato, ugualmente, del “clima” difficile che si respirava durante l’emergenza e dei salti mortali per far quadrare i conti, ha citato la produzione di contratti, fatture e ogni tipologia di documento utile a ricostruire i singoli passaggi sulla correttezza dell’operato in quella che è diventata un’emergenza nell’emergenza. A metà pomeriggio, l’udienza fiume è terminata. Si torna in aula il 7 maggio con la discussione da parte del pm. La sentenza forse a metà giugno.

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