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Frosinone

Il boss in carcere parlava al clan con il telefonino

Nel mirino della Dda di Napoli un boss dei Moscarella di Castellammare di Stabia. In tribunale il processo per un altro caso di uso degli apparecchi: tra gli imputati l’autore della sparatoria di via Cerreto

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Il carcere di Frosinone

Le direttive a un clan camorristico arrivavano dal carcere di Frosinone via cellulare. Una nuova inchiesta, dopo quella sui droni, coinvolge il carcere di Frosinone per l’utilizzo (vietato) di dispositivi di comunicazione da parte di detenuti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha messo a segno un altro colpo, dopo quello di fine marzo. Le misure eseguite dalla Sisco della questura partenopea, dal servizio centrale operativo e dalla squadra mobile di Napoli sono undici (nove in carcere). Nel mirino il clan Rione Moscarella di Castellamare di Stabia, attivo anche nei comuni di Pompei e Sant’Antonio Abate con le accuse di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione di armi e spaccio di droga, aggravati dalle finalità mafiose e dalla finalità di agevolare l’associazione camorristica. Stando alle accuse raccolte, Michele Onorato, 60 anni, considerato il boss avrebbe impartito direttive agli affiliati. In particolare alla moglie, a uno dei figli e a un fedelissimo del gruppo.

Nel frattempo ieri, davanti al giudice monocratico del tribunale di Frosinone, Aurora Gallo, era in programma un’udienza a carico di sette detenuti del carcere di via Cerreto, accusati di aver utilizzato uno o più apparecchi telefonici. Il 21 gennaio del 2021, infatti, nel corso di una perquisizione la polizia penitenziaria aveva rinvenuto alcuni cellulari. A quel punto è partita un’indagine per risalire, attraverso i tabulati telefonici, ai destinatari delle chiamate e da lì agli utilizzatori. E così dai familiari, mogli, fidanzate e genitori, che erano stati contattati con quei dispositivi, sono stati identificati nove detenuti. Tra questi anche Alessio Peluso (difeso dall'avvocato Emanuele Incitti) l’uomo considerato il ras di “Abbasc Miano” che in carcere aveva sparato verso un gruppo di detenuti. Sulla base della recente operazione della Dda di Napoli, sul traffico di cellulari introdotti con i droni in 19 carceri italiane, è emerso che il movente della sparatoria era da ricondursi a contrasti sulla gestione (con sistemi tradizionali o con i droni) del mercato dei cellulari da introdurre nel carcere di Frosinone.

Nel corso dell’udienza di ieri, i difensori dei sette hanno sollevato alcune eccezioni. La prima, respinta dal giudice, su un’incompatibilità avendo il magistrato deciso, in abbreviato, la sorte di altri due detenuti coinvolti nella stessa vicenda. Sollevata poi un’eccezione di illegittimità costituzionale della norma che punisce allo stesso modo chi introduce e chi utilizza telefonini dietro le sbarre per violazione degli articoli 2 e 13 della Costituzione. Infine, contestate le limitazioni per i detenuti di contattare i familiari a differenza di quanto avviene in altri Paesi dell’Unione europea. Il giudice sulla questione di legittimità costituzionale si è riservato una decisione il 16 settembre. Con riferimento all’inchiesta di fine marzo, coordinata dalla direzione nazionale antimafia di Napoli e condotta dal servizio centrale operativo della polizia, dalle squadre mobili di Frosinone e Napoli nonché dalla polizia penitenziaria proprio la rottura degli equilibri consolidati, nella gestione del traffico dei telefonini, all’interno della casa circondariale di Frosinone avrebbe provocato la sparatoria, il 19 settembre 2021. L’episodio, per la Dda di Napoli, proverebbe il metodo mafioso che proprio a Frosinone, con gli spari, avrebbe raggiunto l’apice.

In base a quanto emerso dalle carte dell’inchiesta di Napoli, un gesto così eclatante, non senza conseguenze deve interpretarsi non come un capriccio di un detenuto, considerato il rischio di mettere a repentaglio un sistema molto redditizio, valutato in 30.000 euro (per far arrivare la pistola, con due viaggi, sarebbero stati pagati 10.000 euro). Dunque - ragionano gli investigatori - dietro deve esserci un di più che proverebbe proprio l’aggravante camorristica contestata. E il di più sarebbe i contrasti nella gestione di un affare da 30.000 euro, oltre che la necessità di affermare il predominio di un gruppo, l’Alleanza di Secondigliano sulle altre organizzazioni malavitose.

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