«Più di cinquanta udienze, lunghe, difficili. Quando ho accettato di difendere la famiglia Mottola, all'inizio, ho pensato che fosse davvero una cattiva battaglia - titolo dell'opera di Canesi nella libreria di mio padre - Ma non perché non li ritenessi estranei alle accuse. Perché agli occhi della opinione pubblica e dei miei compaesani sarei apparso come colui che voleva difendere degli "odiosi assassini". Invece sono convinto della loro innocenza» afferma l'avvocato Francesco Germani, storico difensore dell'ex maresciallo Franco, della moglie Anna Maria e del figlio Marco. Accusati della morte di Serena.

Un episodio, più degli altri, avrebbe convinto l'avvocato Germani della bontà di questa battaglia, quando accompagnò i Mottola per i prelievi papillari al Comando di Frosinone: «Lì ho visto la loro serenità: in quel momento era in ballo il destino del figlio, accusato di omicidio. Erano perfettamente sereni». Dopo le sue parole, le repliche di tutte le parti. E anche venerdì, giorno tanto atteso per la sentenza Mollicone, sarà sempre Germani a riprendere la parola per brevissime repliche. Poi la camera di consiglio, che si annuncia lunga.

L'avvocato Germani lega insieme le ragioni della difesa con due parole: logica e fango, quello dei media e dei social. «Il comportamento dei Mottola descritto dalla pubblica accusa non è logico» afferma, inanellando le ipotesi sui depistaggi, il trasferimento, la pista satanica. «Il "cattivo" maresciallo Mottola avrebbe prelevato Guglielmo nell'ora della veglia funebre facendolo attendere in caserma per ore: è Trombetti a dirci in aula che invece è stato lui su impulso della procura a far andare nella caserma Guglielmo».

«Passiamo alla porta: il "sapiente manovratore" dell'omicidio di Serena sa che il figlio ha fatto sbattere la testa di Serena contro la porta e la tiene lì. Come poteva sapere con assoluta sicurezza che non ci fosse un capello, una goccia di sangue? Nel 2001 nessuno pensava alla porta. I film insegnano: è meglio un sospetto della certezza, la prima cosa è eliminare l'arma del delitto. E invece no: il maresciallo Mottola, che ha pianificato tutto, lascia la porta lì. Non è un comportamento logico».

Quindi affronta la questione del posizionamento del corpo: «Nessuna logica neppure nel posizionare il corpo a 300 metri dal bar delle Chioppetelle dove un ragazzo indicato come Marco sarebbe stato avvistato, secondo l'accusa, quella mattina». «Ammettiamo per assurdo che Serena sia entrata in caserma. Litiga con Marco ma non vi sono escoriazioni; Marco fa impattare la testa di Serena contro la porta. Interviene il padre e dice: esci, vatti a procurare un nastro, una busta e un rocchetto. Quindi Marco esce, va in piazza: è sereno, nonostante abbia ucciso una ragazza. Entra in un negozio e chiede nastro e rocchetto, lui figlio del maresciallo. Ma con i guanti, per non lasciare traccia: manca la logica. Poi gli altri. Perché ad esempio Quatrale rischia, per soldi? Dove è la corruzione, dove la prova? Vi pare logico che tre rappresentanti delle forze dell'ordine improvvisamente decidano di buttare tutto all'aria, la carriera, la vita?».

Quindi incalza: «Non vi è traccia di Serena nell'appartamento sfitto, non ci sono impronte. Non vi sono telefonate che possano far pensare che vi fosse un complice. Di chi sono quelle impronte, chi è il complice? Non c'è una traccia che possa portare a pensare che la famiglia Mottola abbia incrociato il destino di Serena». Quindi chiede l'assoluzione per non aver commesso il fatto.

Le repliche della procura
Il pm Batrice Siravo torna all'attacco, nelle repliche definendo il comportamento processuale delle difese dei Mottola a dir poco «scorretto» a partire già dall'udienza preliminare «avanzando accuse pure contro la polizia giudiziaria: di aver nascosto i nastri delle registrazioni di Santino, di aver manomesso le foto di Marco, quelle del "ragazzo coi capelli mesciati"». «Tuzi diceva la verità. Risulta assente dalle 14.30 alle 20.30, completamente estraneo all'attività omicidiaria come pure al confezionamento del cadavere» sottolinea. Poi commenta: «Riteniamo più facile scrivere una sentenza di condanna che una di assoluzione in base agli elementi in nostro possesso». Quindi riprende le critiche mosse alla Cattaneo (e non solo) e rilancia. Soprattutto sulle tracce. «Nessuna contaminazione: tutti i frammenti sulla testa, ci dice Casamassima, stavano sotto ai capelli. Non può esserci contaminazione. Contestato il fatto anche dei nastri, mi riferisco all'assenza di silicati. Casamassima ci dice che sono molto diffusi nell'ambiente, ma non resine né legni. Nessuna di questa sostanza è presente nei capelli dei giovani. Ci sono dei campioni perfettamente sovrapponibili. La miscela della porta è uguale a quella dei frammenti. I frammenti corrispondono perfettamente alla porta». Nodo cruciale, dopo la novità portata alla luce nella precedente udienza dall'avvocato Marsella - ovvero la chiamata del maresciallo Mottola a Guglielmo quando per l'accusa sarebbe stato in corso il trasporto del cadavere di Serena - l'orario delle telefonate. «Nelle telefonate di casa Mottola c'è un buco tra le 00.30 e l'1.30: ce lo dice Cuomo». Per la procura è quello il momento in cui il maresciallo e la moglie portano il cadavere a Fonte Cupa. «La difesa dice che non è possibile perché sarebbero circa 45 minuti (tra le 00.35 e l'01.34) e dicono che in questo tempo non potevano andare a Chioppetelle perché c'era la festa di Santa Barbara: per fare il percorso dalla caserma al bosco ci vogliono 10 minuti, non c'è bisogno di passare attraverso Fontana Liri. Questo orario è perfettamente compatibile, perché 10 minuti per andare e 10 per tornare: 20 minuti sarebbero bastati per portare il cadavere e sistemarlo lì». «Nessun omicidio è perfetto e sembrerebbe neppure questo» afferma.

E quelle delle parti e delle difese
Poi le repliche delle parti civili e delle difese. Quelle civili prima, che condividono le conclusioni della procura. L'avvocato Nardoni (per la zia di Serena) sottolinea: «Franco e Annamaria continuano a proteggere Marco sempre. La caserma viene ritinteggiata: le tracce di Serena non potevano esserci». «I calchi rappresentano la chiave del processo. Sono gli occhi e la bocca di Serena. Ci dicono che il coraggioso Guglielmo aveva ragione. La scienza ha dato un nome e un cognome a chi ha ucciso quella ragazza, quella di cui Tuzi e la Torriero parlano» ribatte Iafrate, per Consuelo. «Più che una replica il mio è un appello - afferma l'avvocato Castellucci per Maria Tuzi - Non cadete nell'errore di legare il suicidio di Tuzi a una ipotesi amorosa o per problemi con Evangelista. La sua morte è da collegarsi unicamente a quella di Serena». «Quella mattina Serena entra nella caserma di Arce. E non ne esce viva. La prova dell'ingresso è soprattutto nelle dichiarazioni di Tuzi - afferma l'avvocato di Antonio e Guglielmo, De Santis - I particolari a volte possono essere decisivi, come il passaggio del colonnello Caprio». E chiede ancora giustizia per Serena. Forti le repliche anche delle difese di Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. «Suprano sposta la porta esponendo la moglie e la figlia a un rischio così grande?» attaccano Germani e Mancini. Per Quatrale la difesa, rappresentata da Candido e D'Arpino, si concentra ancora una volta sugli ordini di servizi: «Ordini affatto contraffatti». Gli avvocati Di Giuseppe, Meta e Marsella per i Mottola hanno poi affrontato altri aspetti. Soprattutto l'assenza di un movente. «Un processo per omicidio senza movente non ha senso» afferma Marsella. E produce delle lettere che afferma essere di Serena.