Spazio satira
Il quadro
30.09.2022 - 16:00
Scarsa fedeltà ai partiti, caratterizzata da una estrema fragilità del senso di appartenenza ad una o ad altra forza politica; scelte orientate dalla propria condizione sociale; tramonto dell'ideologismo. Sono gli scenari che emergono dal rapporto dell'istituto di ricerca Ixè, elaborato a poche ore dal voto, ottenuto confrontando e riproporzionando i dati di 2.421 interviste con il risultato delle elezioni politiche del 2018 e del 2022 e delle elezioni europee del 2019.
Fornendo una miniera di informazioni utili, l'istituto ha confrontato i flussi di voto calcolando quanto si siano spostati da un partito all'altro, da e verso l'astensione, e quanto si siano divisi in base alle direttrici del sesso, dell'età, delle condizioni economiche, dell'appartenenza politica e di quella religiosa. Ne emerge un ritratto che smentisce molti dei luoghi comuni sull'elettorato e sulla rappresentanza ascoltati durante i mesi di campagna elettorale.
Uno dei primi dati interessanti che balzano all'attenzione, analizzando i flussi di voto, è la scarsa fedeltà ai partiti. Ci si potrebbe aspettare che percentuali molto alte di chi ha votato un certo partito nel 2018 abbiano votato lo stesso partito nel 2022, invece no. L'unico elettorato che ha dimostrato fedeltà è quello di Fratelli d'Italia, che all'84% ha votato nuovamente per la compagine di Giorgia Meloni. Per tutti gli altri, prevalgono fluidità e mobilità: solo il 32,2% di chi aveva votato Movimento 5 Stelle nel 2018, meno di una persona su tre, ha confermato il suo voto. Un altro terzo ha preferito astenersi, il 9% ha scelto Fratelli d'Italia. Anche nel Pd, solo la metà degli elettori del 2018 (il 54,4%) ha confermato la preferenza nel 2022. Un 10% circa ha votato per Azione/Italia Viva, ma il 22% si è astenuto. Importante, invece, il travaso di voti dalla Lega a FdI: quest'ultimo strappa infatti a Salvini il 44% dei voti leghisti del 2018. Meno sbalorditivo ma comunque importante il travaso da Forza Italia: circa un terzo degli elettori di Berlusconi del 2018 ha votato per Meloni, il 7,4% ha votato Azione, e il 18,7% ha scelto di non votare.
Infine, interessante notare che il 7,4% di elettori del centro sinistra ha votato per Meloni, e che circa il 30% dei voti andati alla compagine di Azione/Iv è stato pescato dal bacino di voti ampio del centro-sinistra, compresi i suoi micropartiti o i partiti civici. Passando alle fasce di età, si nota che i giovanissimi (18-24 anni), secondo Ixè, hanno preferito Azione-Italia Viva (17,6%) precedendo, di poco di più di un'incollatura, Fratelli d'Italia (15,4%). Per il resto il Pd prevale solo nel segmento over 65. Le condizioni socio-economiche hanno orientato il voto degli italiani con il Movimento 5 Stelle, ad esempio, che ha raccolto messe di consensi tra chi dice di vivere in condizioni appena accettabili e in chi inadeguate; Pd e Fratelli d'Italia fanno il pieno in chi vive in condizioni agiate. Interessante il quadro dell'analisi del voto in base all'orientamento religioso.
I parti di centrodestra e Movimento 5 Stelle primeggiano tra i cattolici praticanti e quelli non praticanti, mentre, con una certa sorpresa, il partito della Meloni è primo anche fra chi professa altre religioni con un importante 21%, mentre il Pd si ferma, ad esempio al 14,9%. Il partito degli astensionisti, che vale circa il 35% degli aventi diritto al voto, merita una riflessione particolare. Dal 1992 a oggi si sono persi circa 12 milioni di voti. Una popolazione che rinuncia sempre più in massa a farsi rappresentare politicamente.
La crescita dell'astensionismo non è il solo segnale dei cambiamenti degli ultimi anni. Si è drasticamente ridimensionata l'importanza della collocazione dell'elettore nella struttura sociale; l'identificazione con una specifica formazione partitica cede il passo a una identificazione con un'area, una coalizione (come si desume dalle "migrazioni" di elettori all'interno dei due poli); le vecchie forme di comunicazione politica, connotate da un contatto diretto con il cittadino, sono state affiancate se non soppiantate dai mass media e soprattutto dai social. L'interpretazione del non voto è legata a fattori quali la delegittimazione delle istituzioni, l'apatia politica, vista a sua volta come il prodotto finale di democrazie consolidate oppure come il chiaro segnale di sfiducia verso i partiti.
Alla fine emerge la figura di un non-elettore disposto a utilizzare la carta del non-voto anche per esprimere dissenso e protesta per un'offerta politica difforme dalle sue aspettative.
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