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La rivelazione

Omicidio Gloria Pompili: quel maldestro tentativo di depistaggio

Ieri in aula la deposizione di un ufficiale dell'Arma che ha coordinato l'inchiesta. Gli imputati avevano offerto due versioni agli investigatori cerca

Avevano cercato di depistare le indagini e alla fine si è rivelato un tentativo maldestro. È quello che è emerso ieri nel corso del processo in Corte d'Assise, a Latina, per l'omicidio di Gloria Pompili, uccisa dai due imputati che devono rispondere di omicidio volontario: la zia di Gloria, Loide Del Prete, e il marito di lei, il tunisino Saad Mohamed Elesh Salem.

Oltre a loro sul banco degli imputati c'è anche Hady Saad Mohamed, marito di Gloria che deve rispondere, insieme agli altri due, di maltrattamenti in famiglia ai danni della giovane mamma e dei suoi due figli minori e di aver favorito e sfruttato la prostituzione di Gloria, sia nell'abitazione di via Saragat, sia nella zona dell'asse attrezzato di Frosinone e sulla Nettunense.

In aula davanti al presidente Gian Luca Soana, al giudice Fabio Velardi, alla giuria popolare e al pubblico ministero Antonio Sgarrella, ha deposto il maggiore dei carabinieri Michele Meola, comandante del Nucleo Investigativo del comando provinciale e che si era occupato delle indagini coordinate dal pm Luigia Spinelli. Nell'immediatezza dei fatti gli accertamenti avevano portato proprio ai due imputati che erano in auto insieme a Gloria la sera dell'omicidio il 23 agosto del 2017.

«Quando furono ascoltati e presi a sommarie informazioni fecero riferimento a due episodi», ha riferito l'ufficiale dell'Arma in udienza. Il riferimento è ad una data precisa, quella tra il 14 e il 15 agosto del 2017, una settimana prima della morte di Gloria Pompili. Sono i due imputati che raccontano di un presunto sequestro di cui Gloria è vittima ad opera di un albanese e un romeno che volevano da lei un rapporto sessuale. Sono proprio i due imputati che spiegano una volta che vengono presi a sommarie informazioni dagli investigatori e quando non sono ancora iscritti sul registro degli indagati che Gloria una notte non sarebbe tornata a casa per questo motivo, che sarebbe stata picchiata e violentata.

L'altra ipotesi che proprio i due imputati hanno offerto quando le indagini erano appena iniziate, portavano a Ceccano e ad un uomo che avrebbe vessato Gloria da cui pretendeva somme di denaro perché si prostituiva. «Volevano individuare un capro espiatorio», ha ribadito l'ufficiale dell'Arma che ha condotto una serie di accertamenti e di riscontri incrociati che hanno permesso di scartare questa ipotesi. «C'era un'evidente discrasia - ha spiegato il testimone della pubblica accusa - ci avevano detto il nome di questa persona di Ceccano e anche l'auto che aveva in uso». In effetti l'uomo aveva un'utilitaria proprio come avevano detto l'uomo e la donna ma non era nera ma bianca. Alla fine il processo è stato rinviato al prossimo 12 marzo, quando saranno ascoltati gli altri testimoni del pubblico ministero.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Rocco Marsiglia, Giuseppe Cosimato e Antonio Ceccani, mentre per la parte civile è rappresentata dall'avvocato Tony Ceccarelli. La morte di Gloria Pompili ha avuto un profondo risalto soprattutto per le modalità brutali del suo decesso: la donna è stata uccisa per le botte ricevute in auto davanti ai suoi due bambini piccoli che sono stati ascoltati in forma protetta e che hanno descritto quello che era accaduto. «Gloria aveva paura», aveva ripetuto più volte la mamma della ragazza, presente anche ieri in Corte d'Assise e dove con rara dignità continua a chiedere una cosa: giustizia per la morte della figlia.

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