Il racconto
31.08.2025 - 17:00
C’è chi va via, c’è chi torna, c’è chi resta e ancora chi sceglie di approdare in una terra non sua, decidendo di chiamarla “casa” pur senza legami di sangue, ma di anima. Comincia così la storia di Pedro Franco, architetto e designer originario di San Paolo, in Brasile, che dopo la pandemia ha deciso di comprare casa in Ciociaria, anche in assenza di un vincolo di parentela con questa terra. Legato all’Italia per via delle sue origini (i nonni erano calabresi) ma soprattutto per ragioni lavorative, Pedro viaggia da e per l’Italia più volte l’anno. Il suo lavoro, infatti, lo ha portato ad esporre al Salone del Mobile di Milano per la prima volta venticinque anni fa. Una rassegna prestigiosa, che ha arricchito in maniera importante il curriculum di Pedro, che a sua volta ha dato un contributo prezioso al Salone. Da venticinque anni, infatti, è uno dei principali espositori, una fucina di idee e originalità che danno vita ad opere straordinarie. Proprio per via di questo legame con l’Italia e dell’amore che prova per questa terra, Pedro ha deciso, qualche anno fa, di acquistare una casa nel Belpaese. Dopo tanto girovagare, la scelta è ricaduta sulla Ciociaria e più precisamente su Giuliano di Roma, che ora lo ritiene un amico. Lo abbiamo intervistato per scoprire qualcosa in più sulla sua storia fuori dal comune.
Come è nata l’idea di acquistare una casa a Giuliano di Roma?
«Niente accade per caso. Io vivo tra San Paolo, che è il vero caos, e ho uno studio a Milano, che è un mezzo caos. Poi, dopo la pandemia volevo trovare un posto che avesse l’idea di tradizioni e radici. E, ancora, che avesse storia e natura. Volevo qualcosa di semplice. Mentre stavo facendo un giro con la macchina con mia moglie nel centro Italia, tornando dal mare ho visto quel paesino arroccato sulla collina. Così sono arrivato a Giuliano di Roma e non sono rimasto un solo giorno, ma tre. Ho capito subito che era quello che cercavo. Mi sono innamorato: ha storia, tradizioni, amicizia e radici».
Dunque, è stato un colpo di fulmine...
«Assolutamente. Ha cambiato tanto anche la mia mentalità creativa».
Hai origini italiane, in Calabria. Come mai hai optato per il centro Italia e non per il paese dei tuoi nonni?
«Sono andato a visitare quel borgo, Fuscaldo, che è molto bello, ma non ho avuto l’accoglienza che cercavo e speravo di ricevere. Dunque ho continuato la mia ricerca fino ad arrivare qui».
E a Giuliano, invece, come sei stato accolto?
«All’inizio le persone mi guardavano in maniera un po’ diffidente. Poi mi hanno visto qualche settimana di seguito e hanno cominciato ad accogliermi. Un giorno ho portato in piazza la cachaça brasiliana e sono venuti tutti ad assaggiare. Da lì è cominciato un bel rapporto di amicizia».
Hai ritrovato tratti del Sud America nelle persone ciociare?
«Sì, assolutamente. Io mi sveglio e davanti casa trovo vino, fichi e molto altro. Le persone mi portano tante cose: è una carezza, una cosa meravigliosa. I brasiliani hanno spesso origini italiane. Io devo dire che molto di quello che ho trovato qui, lo vedo anche nel mio Paese d’origine».
Sei innamorato della Ciociaria, dove giri molto. Non solamente Giuliano, infatti: sei cittadino di questa terra...
«Sì, mi piace girare, vivere i vari paesi, conoscere le tradizioni. Sono stato ad Arpino, Veroli, Trisulti... Amo il legame di questi posti con le tradizioni. Mi piacerebbe realizzare una collezione ciociara da portare al Salone del Mobile di Milano, ma lo farò solo quando conoscerò questo territorio ancora meglio».
Sei innamorato delle tradizioni e hai confessato che stai addirittura cominciando a studiare il dialetto ciociaro...
«Assolutamente sì. Sogno di partecipare al concorso dialettale di Giuliano di Roma. Il dialetto è senso di appartenenza e per me è bellissimo. In Brasile i dialetti non esistono, qui sì e questo mi affascina. Faccio una promessa: l’anno prossimo parteciperò al concorso».
Sei innamorato anche della cucina ciociara?
«Sì. Io penso che questa zona diventerà un “trend” tra qualche anno. Se c’è questa autenticità è proprio perché ancora non c’è un turismo eccessivo. Mi auguro che questo territorio possa rimanere autentico anche quando arriverà il turismo di massa. Comunque, sono innamorato della cucina: non avevo mai assaggiato sapori come la carne di bufala o ad esempio la porchetta come viene fatta qui».
Sei molto seguito sui social network dove hai 100.000 followers. Condividi quotidianamente, quando sei qui, immagini del paese, delle sagre e in generale di scorci della Ciociaria. Sei mai stato contattato da persone del Brasile che vorrebbero fare una vacanza qui o magari cambiare vita e trasferirsi?
«Tante persone mi scrivono, non solo brasiliane, ma anche da Milano. Tanti amici milanesi mi chiedono dove si trovi questa meraviglia. Ho portato già tante persone qui per conoscere questo posto. Per conoscere la Ciociaria ci vuole tempo, la ricerca. All’inizio ho avuto anche un po’ paura di mettere sul mio profilo questa terra, perché temevo che chi venisse potesse non apprezzare a pieno questi luoghi».
Temevi che questo territorio potesse venire deturpato nella sua autenticità?
«Sì, ma poi ho scelto di farlo conoscere ugualmente perché lo merita».
Quanti mesi passi ogni anno a Giuliano di Roma?
«Vengo almeno tre volte l’anno, ogni volta che arrivo a Milano per lavoro. Ad agosto, però, resto tutto il mese».
Il legame con la Ciociaria ti ha ispirato nel tuo lavoro?
«Certamente. Da quando ho comprato la casa di Giuliano di Roma, ho cominciato a conoscere il dialetto. Poi, sono andato in Corea del Sud e ho scoperto che loro fino a cento anni fa non potevano scrivere nella loro lingua a causa della dominazione giapponese. Questo viaggio alla scoperta delle lingue mi ha poi portato in Brasile, dove ci sono dei gruppi di persone giovani che hanno una forma di comunicazione come la street art. Si tratta di una forma di comunicazione che solo loro capiscono, come quella degli indios tanto tempo fa. Dunque, ho cominciato a riflettere su quanto importante sia la forma di comunicazione per un popolo. E ho realizzato una collezione ispirata a questo. L’ho presentata al Salone del Mobile di Milano e sono stato scelto da uno dei più importanti canali di design del mondo come il “best of” della fiera. E questa idea è nata a Giuliano, con il concorso di poesia dialettale».
Ti ha ispirato questo mix di culture...
«Sì, ma voglio conoscere ancora di più. Vorrei incontrare gli artigiani, vedere cosa sanno fare. Per questo giro tanto, non voglio essere un forestiero ma avere uno sguardo interno sulle cose».
Hai cominciato il tuo percorso nell’arte in Brasile per poi approdare a Milano...
«Sì, ho studiato in Brasile, poi ho vinto un concorso con una poltroncina e sono arrivato a Milano per esporre. Da lì ho cominciato il mio rapporto con critici, colleghi di tutto il mondo, stampa e non solo. Il Salone del Mobile è una porta sul mondo, anche sull’Oriente. Io ho un mio spazio vicino ai grandi brand. Ci tengo a portare lì la mia storia, che prima era solo brasiliana, oggi è anche ciociara. Voglio aprire il mio orizzonte traducendo le storie che conosco in questi luoghi».
Ti senti arricchito culturalmente e professionalmente?
«Assolutamente. Io non vendo mobili o poltroncine, vendo storie. Questo gioco è quello che mi muove».
Ti sei definito nomade: viaggi tra il Brasile e l’Italia, ma anche nel tuo Paese d’origine non sei mai fermo. Ti piacerebbe in futuro passare più tempo qui e magari portare un po’ di arte in Ciociaria?
«Mi piacerebbe molto. La posizione di questa terra è strategica e amo la qualità della vita che c’è qui. In Brasile faccio più o meno cinquanta convegni l’anno, giro molto perché prendo ispirazione. La Ciociaria, però, mi ha aperto molto di più l’orizzonte, sono contento di viverla, per me è un cibo dal punto di vista della creazione. Sicuramente realizzerò una collezione che valorizzi questa terra. Voglio conoscere gli artigiani, chi fa le ciocie, chi lavora la paglia: voglio mettere tutto questo insieme in una collezione ma lo farò solamente quando avrò lo sguardo giusto su questa terra».
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