L'intervista
15.06.2025 - 17:05
Centosessantuno presenze in maglia giallazzurra in cinque anni, sei gol e sette assist. Numeri che gli sono valsi l’amore incondizionato della tifoseria, che lo considera uno dei simboli di un passato indimenticabile. Matteo Ciofani, che al Frosinone ha giocato in coppia con il fratello Daniel, viene ancora riconosciuto per strada. Richieste di foto, autografi o semplicemente due chiacchiere da scambiare come vecchi amici. Sì, perché la sensazione è in fondo proprio quella di essere legati da un passato più grande, più forte, un qualcosa che rimarrà sempre scritto nelle pagine della storia. Ed è per questo che Frosinone e i ciociari non possono dimenticare Matteo Ciofani, così come Daniel e tanti altri calciatori che la storia, in Ciociaria, l’hanno scritta davvero, conquistando due promozioni in Serie A. Sono passati sette anni dal suo addio al Leone ma nel cuore dei tifosi giallazzurri, il suo volto e le sue gesta sono ancora vividi e vivi. Tornato in Ciociaria per la partita di beneficenza “La notte dei leoni”, Matteo Ciofani ha avuto modo di giocare anche allo “Stirpe”, sette anni dopo la sua ultima gara in Ciociaria. Dopo una lunga assenza, dunque, è tornato a calcare il campo di uno stadio che lo ha visto protagonista, prima dell’addio nel 2018. Il difensore ha ricordato con noi, in un’intervista carica di bei ricordi e tante emozioni, i momenti più belli vissuti in giallazzurro, a partire ovviamente da quella stagione indimenticabile in Serie A, l’unica nella sua carriera.
Matteo, bentornato a Frosinone. Che emozione provi?
«Una bella emozione, Frosinone per me è casa. Per me tornare è sempre un’emozione particolare, sono sempre felice di tornare qui: incontro persone, vengo riconosciuto per strada. Bello aver lasciato qualcosa. Con Daniel qui abbiamo tanti amici, c’è sempre qualcuno da salutare. E poi dal mio addio non ero più tornato allo “Stirpe” quindi sono felice di averlo fatto».
Sono stati anni importanti quelli in Ciociaria...
«Posso dire senza dubbio che è stata l’esperienza calcistica più importante della mia vita. Abbiamo raggiunto dei traguardi importantissimi, poi viverlo insieme a mio fratello è stato ancora più speciale. Ogni tanto vedo i vecchi video: sono cose impresse nella mente, sembra sia successo tutto ieri».
Qual è il tuo ricordo più bello?
«Ce ne sono tanti. Sicuramente il primo campionato vinto contro il Lecce, in Serie C. Poi la Serie A. E ancora, il secondo campionato vinto: una stagione che si era messa sul binario sbagliato e che poi abbiamo sistemato. Ricordo con affetto la stagione di Serie A, che per me è stata l’unica».
Avresti immaginato di giocare in Serie A?
«No. Ma lo sognavo. Il mio sogno era giocare a San Siro. Un sogno grande ma limitato. E ci sono riuscito».
Come è stato giocare lì?
«Noi siamo milanisti di famiglia, per noi è sempre stato un simbolo quello stadio. Il giorno in cui vi ho messo piede, contro il Milan, è stato un sogno che si è avverato».
Qual è la gara che ti porti dentro?
«Sono tante. Io ho sempre dentro la finale contro il Lecce. Quello lì è stato lo spartiacque personale, per la società, per l’intera città. Quella vittoria ha permesso a Frosinone e a noi di crescere».
A proposito di Lecce, c’è qualcos’altro da ricordare... Dicembre 2013...
«Sì, in quella gara abbiamo segnato io e Daniel. Ed è stata l’unica partita senza i miei genitori in tribuna».
Due gol per tuo fratello, uno per te. Una bella emozione?
«Era il prosieguo di un calcio da fermo. La palla fu recuperata da Paganini e io sono rimasto in mezzo e l’ho messa dentro».
Qual è il compagno con cui hai più legato?
«A parte mio fratello, direi Alessandro Frara. Abbiamo legato anche a livello familiare».
E invece la pizza da Adriano Russo l’hai mangiata?
«Sì, appena ha aperto. Ogni volta che vengo cerco di fare tutto il giro per salutare gli amici».
Ti sei mai sentito oscurato da Daniel, che per ruolo era più in vista?
«No, non sono mai stato invidioso. A volte mi ha fatto comodo essere il “fratello di”. Ognuno ha fatto il proprio percorso e non mi sono mai sentito oscurato».
In un’intervista passata hai detto che parti sempre dietro e vieni fuori alla distanza...
«Sì, mi ritengo un gregario nella vita e nello sport. Si può fare la differenza anche così».
Quali caratteristiche del tuo carattere ti hanno portato ad emergere anche se non sembravi il favorito a inizio anno?
«La serietà, la perseveranza. Ho sempre avuto il rispetto di chi era sopra di me. Una cosa che ora si sta perdendo e che io cerco di trasmettere ai ragazzi che alleno. Fare un passo indietro per farne due avanti. Sono questi gli aspetti importanti nella vita e nel calcio».
Anche a Frosinone è stato così...
«Sì, sono contento di aver lasciato qualcosa ed è bello vedere che la gente mi riconosca. Io sono molto riservato, sto sempre nel mio spazio. Ma se ancora oggi qualcuno si ricorda di me è perché ho lasciato qualcosa».
Qual è il campionato che ricordi con più affetto?
«Campionati nel cuore come qui a Frosinone, nessuno. Ne ho vinto un altro a Modena ma sono stato di passaggio, poi sono andato via. Io penso che quello che ho vissuto qui sia stato irripetibile, per gruppo, ambiente... Tutto unico. Per me sono state tutte belle stagioni. Quella in Serie A è stata il culmine della mia carriera. Ma se devo dire un campionato in cui ho sentito davvero la mia importanza, dico quella che ci ha portato in Serie A per la seconda volta, culminata con la vittoria con il Palermo ai playoff. Lì mi sono sentito importante».
Pescara invece, è stata una tappa fondamentale?
«Fa parte della mia vita, è stata la squadra che mi ha cresciuto. Sono stato lì sette anni nel settore giovanile, poi ci sono tornato da adulto per un anno e mezzo. Pescara la porto nel cuore, ma non come Frosinone».
Il Frosinone sarà sempre una parte fondamentale della vita di Matteo Ciofani, che non ha mai nascosto l’importanza che la maglia giallazzurra, i tifosi e la città hanno avuto nella sua carriera e nel suo percorso da uomo. Adesso, però, è tempo di pensare al presente. E perché no, al futuro. Dopo l’addio al calcio giocato, Matteo ha deciso di intraprendere un percorso in panchina, su proposta della Triestina, l’ultima squadra per la quale ha giocato. Ciofani ha così preso il patentino da allenatore Uefa B, cominciando il suo percorso sulla panchina della Primavera del club triestino, come vice allenatore.
Per quanto riguarda il futuro, invece, l’ex difensore non sa ancora cosa auspicarsi, se non un po’ di meritata serenità insieme alla sua famiglia, che ha deciso di stabilirsi a Trieste.
Dopo il ritiro hai deciso di rimanere a Trieste...
«Ero in scadenza di contratto, la volontà della società per via dell’età e della politica era quella di non rinnovare il contratto ma c’era anche la volontà di tenermi lì per crescere in altre vesti, perché hanno riconosciuto in me quelle qualità che dicevo prima. Io non volevo smettere ma poi si fanno delle scelte e con la mia famiglia l’abbiamo ritenuta una città dove poter costruire una nuova vita. E ho fatto il secondo allenatore della Primavera».
“Da grande” sogni di fare questo?
«Non lo so. Mi sono aperto questa strada ma voglio ponderare bene ogni scelta. Il calcio è l’unica cosa che so fare. Al di là degli aspetti che non mi piacciono, che non sopporto, è l’unica cosa che so fare. Io voglio trasmettere ai ragazzi qualcosa di diverso, qualcosa che ha portato me a fare carriera».
Quanto stai mettendo in questo percorso di te stesso e della tua fede?
«Per me la fede è presente in ogni cosa, nel calcio, nel lavoro e nella vita di ogni giorno. Non è facile. Sono discorsi particolari. Parlare di Gesù a un ragazzino di sedici o diciassette anni nel pieno dell’esplosione ormonale, nel mondo di oggi, è complicato. Ma io credo che quello che conti, al di là delle parole, sia l’esempio. Quando vedono in te qualcosa di diverso, si fanno la domanda da soli. In alcune cose, ovviamente: non sono un alieno, ma in alcuni aspetti mi ritengo diverso. Ognuno fa le sue scelte, io ho fatto la mia. Il mondo sta andando un po’ troppo alla rovescia per il mio modo di vedere ma io cerco di trasmettere il mio esempio».
Quindi non sei un allenatore da giacche lanciate in panchina?
«No, o meglio: può anche succedere, l’adrenalina ti porta a fare tante cose. Ma io non ho mai perso la testa neppure in campo. E non mi immagino a perdere la testa fuori dal campo».
Da bambino sognavi la Serie A: oggi invece qual è il tuo sogno?
«Non lo so. Sono un ragazzo con i piedi per terra. Non ti dico neanche che sogno di allenare chissà chi. Arrivare a determinati livelli richiede sacrificio e impegno. Ad oggi ho chiuso una parte della mia vita dove mi sono speso tanto. Quindi vorrei un po’ di pace e serenità».
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