Spazio satira
L'inchiesta
26.05.2025 - 13:00
Scandalo appalti truccati nei Comuni e per la disinfestazione nelle Asl di Benevento e Caserta: nel mirino della Dda sono finiti, insieme ad altre 32 persone, gli imprenditori cassinati del settore dei rifiuti Vittorio Ciummo e il figlio Carlo. Nei loro confronti, così come per altri coinvolti, è stata avanzata una richiesta di misura cautelare in carcere. A differenza di molti indagati campani che oggi verranno sottoposti a interrogatorio preventivo (istituto introdotto dalla riforma Nordio) al termine del quale il gip si riserva di assumere eventuali provvedimenti restrittivi, per gli imprenditori di Cassino non è stata avanzata questa richiesta. Motivo per il quale al momento risultano solo indagati. Ricordiamo che gli imprenditori cassinati sono a capo della ditta Super Eco che serve 15 Comuni – molti del Cassinate, oltre a Frosinone, e ad altri campani e abruzzesi – (con sede legale a Cassino e operativa a Pignataro Interamna) arrivata prima pure nella gara d’appalto per il servizio a Terracina.
L’inchiesta della Dda non è nuova. Quella che ha portato al coinvolgimento anche degli imprenditori cassinati è infatti scaturita da una precedente indagine aperta su Nicola Ferraro, ritenuto dai giudici un referente imprenditoriale vicino al gruppo Schiavone. «Attraverso Ferraro – scrivono gli inquirenti – il clan nel tempo avrebbe messo le mani nella pubblica amministrazione per il controllo degli appalti, pure nel settore della sanificazione ospedaliera». Ferraro è un imprenditore di Casal di Principe molto attivo nel settore dei rifiuti e della sanificazione ambientale, finito già in un’altra inchiesta aperta per un’ipotesi di partecipazione esterna al clan dei Casalesi. Fino a ottobre del 2023 i carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta avrebbero condotto certosine indagini sulla capacità dei clan di infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni, principalmente tra Caserta e Napoli, e in Aziende sanitarie locali con lo scopo di orientare gli appalti in favore di imprenditori di settore «che si sarebbero rivolti a loro per ottenere lecitamente commesse pubbliche o appalti di servizio in cambio di somme di denaro stabilite in quota percentuale variabile, a seconda degli importi delle aggiudicazioni». Per gli inquirenti sarebbe proprio Ferraro il punto di riferimento di operatori e di figure imprenditoriali ma anche «l’ideatore di un “sistema affaristico” basato sulla corruttela di funzionari pubblici e sull’infiltrazione nei settori degli appalti pubblici, da sempre territorio nevralgico del clan dei Casalesi».
Ferraro, insieme ad altri indagati come Domenico Romano, per gli inquirenti avrebbe «delineato un sistema in modo da veicolare gli appalti e imprenditori designati tra cui Agnello e i Ciummo». In base ai riscontri della Dda sarebbe stato proprio Romano a muoversi per cercare collegamenti con sindaci ed esponenti dell’amministrazione, pure di Catania. A corroborare le ipotesi investigative sarebbero stati gli interrogatori resi da diversi collaboratori di giustizia (due dei quali, D’Angelo e Lanza, avrebbero delineato le direttrici); da prove tecniche costituite da centinaia di intercettazioni ambientali e telefoniche, molte su utenze dedicate per chiamare solo un interlocutore per eludere eventuali intercettazioni, così come anche da prove documentali costituite da quanto rinvenuto nella disponibilità degli indagati. Sequestrate inoltre diverse somme di denaro. Le indagini avrebbero permesso di ricostruire i presunti legami che sarebbero stati instaurati tra i protagonisti delle investigazioni, alcuni dei quali immortalati dalle foto che gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno scattato negli incontri.
«Sarebbe stato Ferraro – secondo la Dda – a concludere accordi con esponenti di Cosa Nostra (i Santapaola) nella persona del nipote dello storico capo “Nitto” per assicurare a imprenditori come i Ciummo di Cassino l’aggiudicazione degli appalti in territorio catanese per la raccolta degli Rsu». In base alle contestazioni dei magistrati della Dda (avanzate nel 2023) gli imprenditori di Cassino sarebbero risultati «beneficiari dell’accordo concluso da Ferraro con i Santapaola, i quali dopo aver ottenuto gli appalti con il “sistema di Ferraro”, gli avrebbero versato una quota di 10.000 euro al mese per la durata dell’appalto, parte della quale sarebbe stata destinata al clan». In realtà per gli inquirenti una parte sarebbe andata anche a Romano, in base «all’importo di aggiudicazione dell’incanto». Dopo la chiusura delle indagini la richiesta di misure per gli indagati, per alcuni dei quali è stata avanzata anche quella di interrogatorio preventivo. Ma non per i due imprenditori cassinati - assistiti dagli avvocati Pierpaolo Dell’Anno e Sandro Salera - che risultano solo indagati.
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