Frosinone
29.06.2024 - 13:30
Dagli scarpini per la scuola calcio, alle ginocchiere per la prima lezione di mini volley. Senza dimenticare la racchetta da tennis e la cuffia per il corso di nuoto. Non c’è bambino, oggi adulto, che non sia entrato almeno una volta da “Bottini Sport” ad acquistare l’occorrente per il suo sport preferito. Oggi, dopo quarantotto anni di attività, lo storico negozio di Frosinone chiude i battenti.
Nel 1976 Antonio Bottini, insieme ai suoi fratelli, è riuscito a trasformare un piccolo laboratorio di via Mezzacorsa in quello che poi è diventato il più grande negozio di sport conosciuto in tutta la provincia di Frosinone. Da quel viaggio in America fino all’addio definitivo e al passaggio nel mondo della ristorazione. Per Antonio Bottini oggi è un giorno speciale, l’ultimo da imprenditore sportivo. L’abbiamo intervistato.
Come è nata l’idea di aprire un negozio di sport?
«Da uno zio che lavorava in una fabbrica di articoli sportivi. Era il novembre del 1976. Ero molto giovane, avevo 16 anni e i miei fratelli 22. All’epoca gli articoli sportivi erano in carenza, non c’era anche l’avvento della Cina. Quindi abbiamo iniziato con un piccolo laboratorio in via Mezzacorsa, proprio dove adesso abbiamo il ristorante e dove avevamo avviato una piccola produzione di maglie, pantaloncini e tute per le squadre di calcio. Estesa poi nel 1978 anche per marchi importanti come Marango sport, Kappa, le Coq Sportif. In cambio, invece dei soldi, sceglievamo di ricevere materiale da vendere al negozio. Col tempo siamo arrivati anche a rifornire un grande negozio di Roma, “Eusebi Sport”. Nel 1980 servivamo più di 200 squadre di calcio in tutta la provincia di Frosinone. Dalle porte alle reti, alle bandierine, ai palloni... E poi tute, pantaloncini. Insomma, un po’ di tutto. Poi nel ’90 abbiamo aperto in via Po e ci siamo specializzati nel tennis e nello sci».
Come è cambiato il settore negli anni?
«Le vicissitudini le conosciamo tutti. C’è stato l’avvento di internet ma anche la disuguaglianza fiscale con gli altri Paesi che da sempre penalizza quello italiano. Poi la rivoluzione nella distribuzione degli articoli sportivi. Multinazionali come Nike e Adidas non prediligono più i piccoli clienti ma si stanno focalizzando sui grandi negozi monomarca e sulle vendite dirette. Troppe anomalie che hanno creato situazioni irreversibili. Purtroppo la tendenza per i prossimi dieci anni andrà nella direzione di una desertificazione abbastanza pesante».
Ma torniamo alla sua attività qui a Frosinone. E da quel viaggio che segnò per sempre la sua carriera imprenditoriale...
«Intorno ai ventidue anni ho fatto un viaggio negli Stati Uniti. Lì vidi un negozio a cinque piani. Era il 1982. Qui a Frosinone il negozio più grande all’epoca era la “Standa”. Tornai in Italia e dissi a mio fratello che sognavo di aprire un negozio grande proprio come lo avevo visto in America. Così abbiamo acquistato questa struttura di via Po a due piani e 1.000 metri quadri. E dopo otto mesi di ristrutturazione è iniziata la nostra avventura. Era il 1990, precisamente il 7 maggio. Nel 1997 ci siamo allargati restaurando la struttura di via Mària con l’apertura l’anno successivo di “Winner Sport”. Il tutto sempre con alla base una politica di prezzi competitivi e continue promozioni che per anni ha funzionato alla grande. Poi però è arrivata la chiusura a marzo del 2017 e abbiamo concentrato tutto in un unico negozio. Ma anche in questo caso nonostante l’ampia collaborazione di familiari non ce l’abbiamo fatta».
Cosa lascia insieme al suo negozio?
«I ricordi di una vita. L’unica cosa che mi sento di dire è solo un grazie alla città e a tutta la provincia che mi ha sempre dato la forza di andare avanti. Chiaramente chiudere è una sconfitta. Ma bisogna pensare che se il mondo va avanti per un verso non bisogna farsi prendere dai sentimenti e continuare con scelte sbagliate. Spero di aver trattato bene i miei concittadini. Ho sempre fatto un discorso di politica onesta. Eravamo conosciuti per l’assortimento, i prezzi competitivi e l’aggressività del mercato».
E adesso?
«Siamo riusciti a cambiare settore e nel nostro futuro ci sarà la ristorazione. Stiamo pensando di realizzare un albergo sopra al ristorante in modo da spostarci in attività che non sono soggette al monopolio di internet. Perché purtroppo l’online lascia margini soltanto alle multinazionali e a noi nessuno spazio di sopravvivenza».
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