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Il caso

Aiuti irregolari ai poveri, arriva il saldo: ricorsi respinti

La Sezione giurisdizionale d'appello della Corte dei conti dice no alla richiesta dell'ex sindaco Veronesi e di Nozori. Il consigliere di opposizione e il responsabile dei servizi sociali sono chiamati a risarcire

Inchiesta sul sussidio agli indigenti: la Seconda sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti ha rigettato i ricorsi dell'ex sindaco di Monte San Giovanni Campano, Angelo Veronesi, e del responsabile comunale dei servizi sociali, Paolo Nozori. Ricorsi presentati contro la sentenza pronunciata lo scorso anno dalla Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, che aveva condannato Veronesi e Nozori al pagamento di 20.000 euro per danno erariale.

In particolare i fatti risalgono all'anno 2016 quando il Comune ebbe ad erogare oltre 50.000 euro di contributi assistenziali destinati a persone indigenti, stando alle accuse, in assenza di qualsivoglia procedura di evidenza pubblica.

"Con conclusioni rassegnate in data 26 gennaio 2024, la Procura generale chiedeva il rigetto degli appelli rilevando che l'istruttoria del requirente aveva evidenziato un sistema di elargizione diretta, in cui non veniva effettuata alcuna forma di istruttoria sui requisiti dei richiedenti: un gran numero di domande erano risultate compilate personalmente dal Veronesi e il Nozori aveva sottoscritto tutti i provvedimenti contestati - si legge sulla sentenza - Avevano ricevuto l'assegno persone sconosciute ai servizi sociali; taluni avevano ricevuto il beneficio prima ancora di averlo chiesto, ovvero nel giro di qualche ora dalla presentazione della domanda; alcuni perfino avevano avuto contezza delle domande presentate a loro nome solo in occasione delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria".

Gli appellanti "al fine di escludere l'indispensabilità della procedimentalizzazione dell'erogazione di misure di assistenza economica per fronteggiare situazioni di bisogno e, conseguentemente, di affermare la correttezza delle erogazioni, contestano la statuizione del primo giudice circa la sostanziale irrilevanza della qualificabilità dei contributi come "contributi straordinari" o come "prestazioni sociali agevolate".

In definitiva, nel delineato contesto, l'inquadramento tipologico degli aiuti tra i contributi straordinari, anche a voler ignorare il fatto che è il frutto di un'operazione interpretativa postuma, realizzata senza l'ausilio di riscontri testuali (che avrebbero dovuto emergere dal provvedimento) e senza poter induttivamente valorizzare la sequenza procedurale seguita (poiché sostanzialmente inesistente), risulta pressoché inidonea al fine di escludere il connotato antigiuridico delle condotte tenute nella vicenda dagli odierni appellanti.

Quindi, pur accedendo alla tesi degli appellanti, secondo cui tutti i contributi considerati ai fini della quantificazione del danno erano sussumibili tra i mezzi di "assistenza economica straordinaria", comunque, difettavano apporti istruttori e passaggi procedurali essenziali, l'assenza dei quali si riverberava sulla conseguente spesa, compromettendone irrimediabilmente la funzionalizzazione alla finalità socio–assistenziale".
Per ciò che attiene alla misura dell'addebito "il primo giudice, considerando il vantaggio comunque conseguito dagli amministrati nonostante la difettosa azione amministrativa, ha già eliso una significativa porzione del danno, contestato in via principale, riducendolo da euro 41.525 ad euro 20.000, importo maggiorato degli interessi legali".

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