L'orrore
10.09.2021 - 11:30
«Gli saltavano sul corpo e lo colpivano con calci e pugni. Tutti e quattro. Continuavano a calpestarlo anche quando ormai era esanime». Una sorta di danza macabra, quella raccontata davanti ai giudici della Corte d'Assise di Frosinone, da Samuele Cenciarelli, picchiato a sua volta mentre tentava di fare scudo con il suo corpo all'amico Willy. Un'aggressione inaudita che vede imputati, con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi, i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia.
A parlare nell'aula della Corte è stato proprio l'amico del 21enne capoverdiano. Era con lui la notte in cui venne ucciso. E ha ripercorso in modo circostanziato gli ultimi attimi di quella maledetta serata che è costata la vita al giovane chef di Paliano.
«Mentre stavamo andando verso la macchina – ha proseguito Cenciarelli - qualcuno, non so dire chi, ha sferrato un calcio a Willy. Mi sono buttato su di lui per proteggerlo, ma sono stato colpito anche io, sempre con un calcio, all'altezza della gola. Sono finito a terra ma sono riuscito e vedere il mio amico che veniva aggredito in continuazione da quattro persone. Ho cercato di spiegare loro che noi con quella storia non c'entravamo nulla. Le mie richieste sono finite nel vuoto. Ho visto un calcio sferrato al torace di Willy, da uno dei due ragazzi già presenti (e dunque non i Bianchi, ndr), che lo ha fatto finire contro una macchina. E ogni volta che provava a rialzarsi, veniva picchiato brutalmente senza lasciargli la possibilità di reagire.
D'istinto sono andato verso di lui per portarlo via di lì, ma uno dei fratelli Bianchi prima mi ha colpito con un pugno in faccia e poi con un calcio». Relativamente alle tempistiche, Cenciarelli ha evidenziato che l'aggressione è stata fulminea: circa 30 secondi. E su gli aggressori ha aggiunto: «Ricordo che Belleggia aveva un braccio ingessato, Pincarelli aveva una camicia bianca e svariati tatuaggi, uno dei fratelli Bianchi aveva una polo verde e l'altro un tatuaggio sul collo.
«Ho provato a intervenire due volte - ha rimarcato - la seconda con le mani alzate, pregando di lasciarlo andare. Quando mi sono ripreso - ha concluso - l'aggressione era già finita e loro scomparsi. Quindi, insieme a una ragazza, ho cercato salvare il mio amico togliendogli la lingua dalla gola».
E Lucia, la mamma di Willy, presente in aula, al termine del racconto si è coperta il volto con le mani.
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