Spazio satira
Le testimonianze
14.09.2020 - 09:54
Un "pellegrinaggio" continuo. Giovani. Mamme con i loro bambini. Anziani. Amici e persone comuni. Arrivano silenziosi. Portano un fiore, un biglietto con su scritto un messaggio, un cero. Lo depongono lì, nei giardinetti in largo Oberdan, dove la notte tra sabato 5 e domenica 6 settembre Willy è stato ucciso. Poi si fermano ad osservare quel luogo diventato il simbolo di un dramma che ha scosso l'Italia intera. I più hanno i volti solcati dalle lacrime. Gli occhiali da sole, quasi a voler proteggere quel dolore da sguardi
indiscreti. In altri prevale la rabbia, un sentimento comune a Colleferro.
A una settimana esatta dalla tragedia, quell'angolo della città è diventato il luogo dove omaggiare Willy. Dove ci si ritrova per sentirlo vicino e, forse, per sentirsi meno soli con quel sentimento di impotenza, con la sensazione di non aver fatto abbastanza. Willy è diventato il figlio di tutte le mamme che arrivano tenendo per mano i loro bambini. «Poteva essere mio figlio». È questa la frase che ripetono quelle che scelgono di parlare. La stessa che si legge nello sguardo di quelle che, invece, per la troppa commozione, scelgono di restare in silenzio. «Mio figlio ha più o meno l'età di Willy – ci dice una signora che ha appena lasciato un fiore tra i tanti adagiati a terra –
Ogni fine settimana frequenta i locali qui vicino, dove tutti i ragazzi di Colleferro e dei paesi limitrofi si ritrovano per stare insieme e divertirsi. Quando ho saputo cosa era accaduto mi sono sentita la mamma di Willy. Poteva esserci mio figlio al posto suo – prosegue – Adesso abbiamo paura. Ma anche tanta rabbia perché episodi come questo non possono e non devono accadere. I nostri ragazzi devono uscire e divertirsi come è giusto che facciano alla loro età. E non temere che per difendere un amico possano rischiare di non tornare mai più a casa». Ma Willy è diventato anche l'amico di tutti, quello dei tanti giovani che arrivano sul luogo del massacro. Uno di loro fa il segno della croce. È mingherlino, proprio come Willy. Avanza tremante, lascia un biglietto. Poi si mette in disparte e, con il volto nascosto tra le mani, piange.
Lui amico di Willy lo era davvero: «Quella sera non sono venuto qui, ero in un altro posto. Forse… Se fossi stato qui forse avrei potuto fare qualcosa per aiutarlo. Non lo so… Ma non c'ero, non l'ho aiutato e questo non me lo perdonerò mai». Non gli facciamo domande. Il suo è il sentimento che accomuna tutti i giovani che incontriamo. Amici, conoscenti e ragazzi comuni. Non sono arrabbiati e nemmeno troppo spaventati. Si sentono impotenti. Quasi come se non avessero fatto abbastanza per proteggere quel ragazzo che era uno come loro. Uno di loro. I più non vogliono parlare. Il dolore è troppo. Poi qualcuno si fa coraggio: «Quello che hanno fatto a Willy è una botta al cuore. Quello che è successo a lui poteva succedere a me e lui non c'entrava nulla. Io ero al Movida e sono andato via poco prima che accadesse la tragedia».
A parlare poi è un altro ragazzo, un giovane immigrato che da oltre un anno vive a Colleferro e che studia alla Sapienza di Roma. Frequenta anche lui i luoghi della movida. Non conosceva Willy ma quando ha saputo quello che era successo ha sentito anche lui il bisogno di raggiungere largo Oberdan per omaggiarlo: «Quello che è successo mi rende triste, nessun ragazzo che sia bianco, giallo, verde o nero deve morire così».
Al dolore delle mamme e a quello dei ragazzi si aggiunge, però, la rabbia di tante altre persone che arrivano sul luogo dell'omicidio. Si chiedono perché nessuno abbia fatto nulla per evitare una simile tragedia. Ribadiscono che Colleferro non è una città di criminali ma quella "banda" nella zona era conosciuta da tempo per la sua violenza e non solo.
E ora i cittadini si chiedono perché non sia stata fermata prima che potesse arrivare a tanto: «È inammissibile. C'è tanta rabbia. A Colleferro c'è tanta brava gente addolorata da quanto accaduto. Queste sono persone che da anni vengono a fare casino qui. E tutto questo si poteva evitare se li avessero fermati prima», sbotta un cittadino che insieme ad altri ha voluto portare il suo saluto a Willy. Gli altri applaudono, condividono quel pensiero. A Colleferro, una settimana dopo il brutale pestaggio che ha spento il sorriso contagioso di Willy, tra dolore, commozione, senso di impotenza e rabbia, prevale un sentire comune: pene certe e che sia fatta giustizia. Perché solo quando Willy avrà giustizia potrà riposare in pace.
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