Spazio satira
Il personaggio
16.09.2022 - 21:00
Oggi ricorre il centenario della nascita di uno dei personaggi più controversi ed inquietanti della storia "recente" del nostro Paese: Salvatore Giuliano. Il famigerato bandito siciliano fu infatti non solo l'indiscusso protagonista di oscure vicende che sconvolsero alcune zone del nostro Mezzogiorno nell'immediato secondo dopoguerra, ma costituì anche – quanto meno agli occhi di una parte dell'opinione pubblica – una delle figure più celebri ed "iconiche" di quegli anni. Nonostante più di qualcuno abbia cercato di far passare il cosiddetto "Re di Montelepre" come una sorta di romantica "sintesi tra Robin Hood, Pancho Villa e Dillinger", la recente desecretazione di documentazione riservata da parte dei servizi segreti americani ed inglesi ha invece confermato l'evidente ambiguità del personaggio, mostrando definitivamente il vero volto di un uomo che fece della ferocia e dell'illegalità – per di più posta al servizio di una cattiva ideologia – il suo marchio di fabbrica. Ed infatti è stato calcolato che durante la sua carriera criminale si rese colpevole di decine di omicidi (e le vittime furono soprattutto carabinieri...) nonché di innumerevoli altri gravi reati (sequestri di persona, estorsioni, attentati dinamitardi, violenze, furti e rapine).
Del resto, per qualificare adeguatamente il suo operato, sarebbe sufficiente ricordare che ebbe un ruolo decisivo nella terribile strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio del 1947, nel corso della quale vennero trucidate ben undici persone innocenti, e ne rimasero ferite molte altre. La storia personale di Salvatore Giuliano, inizialmente caratterizzata da atti tipici del banditismo rurale, prese una svolta decisiva dopo lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia nel luglio del 1943. Nei mesi successivi vennero infatti lentamente riattivati i processi democratici che il ventennio fascista aveva brutalmente limitato o soppresso; grazie a ciò la popolazione tornò finalmente a godere della libertà di stampa e di associazione, e fu consentita la costituzione di nuovi partiti e sindacati.
Così come ben evidenziato da Giuseppe Casarrubea e Mario Josè Cereghino in un interessante e documentatissimo libro-inchiesta, dedicato alla figura del famoso bandito siciliano, durante quel confuso periodo storico la mafia cercò di riappropriarsi del controllo del territorio dell'isola. Per raggiungere questo suo obiettivo decise non solo di intessere torbidi e discutibili rapporti con esponenti politici di vario livello, influenti aristocratici, e "nostalgici" dell'ideologia nazifascista, ma anche di servirsi di figure spietate ed ambigue, come quella di Giuliano. I due autori infatti ritengono che il "Re di Montelepre" fu «l'emblema del momento convulso in cui si dibatteva l'isola, tra spie senza scrupoli, mafiosi scappati di galera, criminali comuni che aspirano a fare carriera, terroristi e sabotatori nazifascisti. L'uccisione del carabiniere
Mancino segnò l'inizio di una svolta nella storia criminale e politica dell'isola. Fu un crescendo di azioni che puntavano sempre più in alto, verso il controllo paramilitare del territorio, la guerra per bande, sotto l'ala protettiva di Salò, dei Servizi nazisti, dell'aristocrazia nera e della mafia». Tale criminale connivenza con le aree più inquietanti della destra trovava del resto la sua principale motivazione nel fatto che gli ambienti comunisti si erano sempre mostrati piuttosto ostili a "Cosa Nostra", e quindi andavano osteggiati e combattuti con ogni mezzo. Salvatore Giuliano costituì quindi, agli occhi della mafia italo-americana (che nell'isola aveva profonde ramificazioni e coltivava lucrosi interessi), il soggetto ideale per riuscire ad ostacolare il più possibile la diffusione dell'ideologia di sinistra. E lui accettò volentieri il ruolo.
Intessendo peraltro frequenti rapporti con numerosi politici (non solo locali), esponenti dei servizi segreti, delle forze dell'ordine e persino con alti prelati. Di fronte ad un quadro così torbido, complesso ed articolato, la vicenda criminale di Giuliano, e dei membri della sua famigerata banda, può essere pertanto vista come una sorta di scellerato paradigma di quello che poi avvenne in Italia in tempi più recenti. Salvatore Giuliano venne "ufficialmente" ucciso a Castelvetrano nella notte tra il 4 ed il 5 luglio del 1950, nel corso di un conflitto a fuoco la cui dinamica non è stata mai del tutto chiarita. Tuttavia, secondo alcuni, a morire fu invece qualcuno dei sosia dei quali – a quanto pare – il bandito si serviva spesso per motivi di sicurezza, e per riuscire a muoversi più liberamente. Taluno ipotizza che in realtà Giuliano venne ucciso solo qualche anno dopo, in un bar di Napoli, mediante un caffè al cianuro. Qualcun altro sostiene invece che, essendosi reso conto di essere oramai diventato una figura scomoda e pericolosa per molti, aveva deciso di far perdere le sue tracce, fuggendo negli Stati Uniti.
Secondo una fonte (francamente poco credibile) lavorò per anni al Pentagono sotto il nome di Joseph Altamura; altri sostengono invece che Giuliano morì, a causa di un infarto, nel 1985. A conforto del fatto che ad essere ucciso, nell'estate del 1950, non fu lui, Casarrubea e Cereghino richiamano addirittura le parole di Padre Pio; il quale, in più di qualche occasione, ebbe a dire che «quella della cattura e dell'uccisione di Giuliano era una messa in scena che era costata la vita a un povero innocente che gli somigliava. Salvatore Giuliano non è morto. Lui ora se ne sta in America». Tale versione dei fatti, a dire il vero, sembrerebbe essere stata smentita dall'esame del DNA che qualche anno fa venne disposto sul cadavere dell'uomo che era chiuso nella bara che (ufficialmente) conteneva le spoglie del bandito. Tuttavia gli esami genetici non sono riusciti a dare una risposta sicura in tal senso. Il dubbio, quindi, rimane. Quello che è certo è invece che la storia personale e criminale di Salvatore Giuliano, caratterizzata da inquietanti connivenze, odiosi depistaggi, squallide reticenze, omissioni e falsi, è talmente piena di lati oscuri da costituire – di fatto – il primo, grande mistero (irrisolto) della storia moderna del nostro paese.
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