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Colpi di Testa

Benvenuti a Dubai, la grande illusione: lusso sfrenato, soldi e felicità apparente

Nel racconto l'analisi spietata dell'economista. Emanuele Felice definisce la metropoli come un vero e proprio "sogno consumistico", che sorprende ma inganna

Il 20 marzo di ogni anno viene celebrata la "Giornata mondiale della felicità". Agognato stato d'animo umano che oggi, alla luce dell'inquietante situazione che stiamo vivendo, ci appare davvero assai lontano dal poter essere facilmente raggiunto. Ma che cos'è, realmente, la felicità?  Molti la definiscono una condizione emotiva che provoca, attraverso gli eventi, e grazie alle relazioni interpersonali, sensazioni positive ed appaganti. Più di qualcuno ritiene che possano essere anche dei luoghi specifici a farla raggiungere e conquistare; e non pochi sostengono che uno di questi sia Dubai, la città araba che è stata creata dal nulla nel deserto e che, con il nuovo millennio, è diventata il simbolo per eccellenza di un'artificiosa contemporaneità.

Per provare a spiegare le ragioni del suo incredibile successo, Emanuele Felice ha pubblicato, per "Il Mulino", una breve monografia intitolata "Dubai, l'ultima utopia". L'autore del saggio definisce la metropoli affacciata sul Golfo Persico come un vero e proprio "sogno consumistico", che sorprende, abbacina, ma purtroppo inganna; e ciò perché «dietro la patina dei suoi splendori, e dietro la pomposa definizione di "città più felice del mondo", si cela la realtà di un regime oppressivo e a tratti feroce, uno dei più iniqui ed ecodistruttivi del mondo intero...

Dubai è il luogo in cui il capitalismo ha reciso, nel modo più netto e persino sfacciato, il cordone ombelicale con il liberalismo... c'è uno strano contrasto, quasi surreale, fra l'ambizione dei nuovi progetti e le macerie che lo sviluppo si è già lasciato dietro». Per poter arrivare a dare un giudizio così severo l'economista abruzzese l'ha visitata a lungo, quella città, cercando di conoscerla meglio possibile, di viverla e di "comprenderla". Racconta che la prima volta che gli capitò di andarci gli sembrò di essere arrivato in Svizzera: ordine, pulizia, ricchezza, assenza di criminalità. Tutto sembrava incredibilmente bello, grande, perfetto. Ma ben presto si rese conto che sotto quella patina dorata c'era tuttavia molta "polvere".

Che nascondeva (e in verità non sempre bene) un'inaccettabile violazione dei diritti umani e civili, un business sfrenato ma fin troppo "spregiudicato", e una sistematica brutalizzazione delle politiche ambientali più illuminate («Se al mondo ciascuno di noi consumasse quanto un abitante degli Emirati Arabi, avremmo bisogno di quattro o cinque Terre»). Tale non proprio idilliaca descrizione è il frutto di un complesso progetto ideale che sembra avere una bella forma, ma ben poca sostanza. Questo perché l'obiettivo di chi la immaginò, (quando decise di "trasformarla" in qualcosa di diverso dal piccolo agglomerato urbano che era nel secolo scorso), era quello di farla diventare una delle capitali mondiali della finanza ed una delle mete preferite del turismo dell'intero pianeta.

L'obiettivo è stato raggiunto, perché le "attrattive" non mancano in quel fazzoletto di terra strappata violentemente alla sabbia; ed infatti così si può leggere sul sito internet della metropoli araba, che oggi conta più di tre milioni di abitanti: «Dubai è la città dove tutto è possibile: gli hotel più lussuosi al mondo, i grattacieli più alti, i centri commerciali con più negozi, la marina più grande!... è il sogno del lusso... l'eccesso è la normalità, l'impossibile diventa reale e i record mondiali vengono continuamente battuti. Potrete sciare anche quando le temperature toccano vertiginosi picchi di 50°, giocare a golf dall'alto di un grattacielo, cenare all'interno di un mega acquario con i pesci che vi passano sopra e sotto, fare shopping nel centro commerciale più grande al mondo, ammirare dall'alto di una monorotaia panoramica un'isola a forma di palma creata dall'uomo... non c'è altro di simile a questa città nel mondo».

Eppure tutto questo è stato costruito non su solide fondamenta sociali ed economiche e su un processo democratico liberale e ponderato, ma piuttosto sull'instabile rena di un'integrazione razziale e sessuale che è solo di facciata, di un sistema globale fortemente iniquo e di un consumismo sfrenato, ma tutt'altro che etico. La lettura del saggio ci fa comprendere molto bene quanto ingannevole sia quella apparente felicità, tutto quel lusso sfrenato, quell'ordine che sembra imperturbabile, quella normalità; e ci rivelato di terra strappata violentemente alla sabbia; ed infatti così si può leggere sul sito internet della metropoli araba, che oggi conta più di tre milioni di abitanti: «Dubai è la città dove tutto è possibile: gli hotel più lussuosi al mondo, i grattacieli più alti, i centri commerciali con più negozi, la marina più grande!... è il sogno del lusso... l'eccesso è la normalità, l'impossibile diventa reale e i record mondiali vengono continuamente battuti.

Potrete sciare anche quando le temperature toccano vertiginosi picchi di 50°, giocare a golf dall'alto di un grattacielo, cenare all'interno di un mega acquario con i pesci che vi passano sopra e sotto, fare shopping nel centro commerciale più grande al mondo, ammirare dall'alto di una monorotaia panoramica un'isola a forma di palma creata dall'uomo... non c'è altro di simile a questa città nel mondo». Eppure tutto questo è stato costruito non su solide fondamenta sociali ed economiche e su un processo democratico liberale e ponderato, ma piuttosto sull'instabile rena di un'integrazione razziale e sessuale che è solo di facciata, di un sistema globale fortemente iniquo e di un consumismo sfrenato, ma tutt'altro che etico. La lettura del saggio ci fa comprendere molto bene quanto ingannevole sia quella apparente felicità, tutto quel lusso sfrenato, quell'ordine che sembra imperturbabile, quella normalità; e ci rivela modo più appariscente, e promette felicità per tutti... È l'ostentazione della ricchezza. È la sacralizzazione ultima dell'arricchimento individuale, o del benessere materiale, quale unica chiave per la felicità... È la metropoli che fa a meno dei diritti umani. Ignora le libertà politiche e civili, che abbiamo imparato in Occidente, così come i diritti sociali», tanto è vero che «gli Emirati Arabi Uniti sono uno degli stati più autoritari in assoluto nel mondo: al 2018 è al 147° per indice di democrazia, su un totale di 167 paesi...».

Il prezzo da pagare per questa apparente felicità dunque è altissimo. A Dubai non esistono infatti sindacati che tutelano i diritti dei lavoratori; non esistono locali per gli omosessuali; le donne sono fortemente discriminate ed emarginate; e non vi sono norme che garantiscano i diritti più elementari ai numerosissimi stranieri (soprattutto indiani) che sono emigrati lì per fuggire da drammatiche povertà. Evidenzia infatti a tal proposito l'autore del saggio: «L'uguaglianza, questo grande ideale dell'umanesimo occidentale su cui si sono fondati il welfare state e i diritti sociali, a Dubai è una totale sconosciuta...si è attuata una rigida separazione fra i residenti locali, i nationals, e gli immigrati. Ai nationals, meno di uno su dieci, i servizi sociali sono garantiti, per nascita, e in maniera generosa: dalla casa alla sanità, all'istruzione, a una vasta gamma di sussidi; erogati da un vasto settore pubblico che fa capo alla casa regnante». Agli altri, invece, no. Cosa che inevitabilmente crea squilibri, iniquità, alienazione. Stando così le cose, allora, viene da dire che è giusto provare a rincorrere la propria felicità. Ma non a qualsiasi costo. Altrimenti, quella raggiunta, non sarà altro che un'egoistica conquista. Perché, come bene una volta ebbe a dire il filosofo indiano Paramahansa Ygananda, solo «quando smetterai di voler riempire il tuo bicchiere di felicità, ed inizierai a riempire quello degli altri, scoprirai, con meraviglia, che il tuo sarà sempre pieno». 

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