Spazio satira
Cassino
12.04.2025 - 17:00
«Gli uffici del SerD e del Cimm ritenevano che fosse competenza l’uno dell’altro: dipendenza da alcol o problemi psichiatrici. Insistemmo tanto. Così ci dissero che avrebbero cercato di convocare una riunione interdisciplinare. Quando non beveva “funzionava”, lavorava. Era quando beveva che le cose non andavano: l’esplosione di violenza avveniva quando beveva». Queste le parole dell’avvocato Maria Letizia Casale ieri in aula, il legale che aveva seguito Sandro Di Carlo per vicende legate alle sue «esplosioni di violenza» prima dell’accusa dell’omicidio di Yirelis Peña Santana, la donna di 34 anni di origini dominicane, colpita con diverse coltellate dopo essere stata picchiata in un appartamento del centro di Cassino, in via Pascoli. Accusa che Sandro Di Carlo ha sempre negato. A indirizzare le indagini su di lui - che si è sempre detto innocente - un’impronta insanguinata isolata dalla polizia sul muro della stanza da letto della vittima.
L’avvocato Casale ha ricostruito ieri alcuni momenti della vita del giovane finito in precedenza nei guai per aggressione a pubblico ufficiale e violenza a scuola. «Il SerD lamentava l’attestazione di alcolismo conclamato, ricordo che io stessa invitai Sandro a fare delle analisi. Ero rimasta che si sarebbe dovuta fare una riunione interdisciplinare. Poi io ho smesso di fare l’avvocato». Una situazione complessa, quella raccontata dalla professionista, che ha posto l’attenzione sulla difficoltà di trovare una “via preferenziale” per mandare l’operaio in comunità, nonostante le indicazioni contenute nelle sentenze (due quelle del tribunale di Cassino) per violenza. In sostanza, non era stata rilevata una “cronicità” né per un problema né per l’altro. E come spesso accade in tali casi, il percorso diventa più difficile. Ma Sandro «andava curato».
«Lui era stato già individuato come paziente borderline. Poi non ricordo per quale motivo si sia creato uno sfilacciamento: ci si impone di fare incontri congiunti, ma volte i casi vanno dispersi. È difficile mettere insieme professionisti che lavorano su più casi clinici» ha aggiunto il professore Michele Di Nunzio, psichiatra e criminologo. Il consulente della difesa dell’imputato - rappresentata dagli avvocati Sandro e Vittorio Salera - ha quindi posto l’accento sull’analisi dei suoi comportamenti dopo la morte di Yirelis. «La “firma” della malattia è nella a-finalità dei comportamenti di Di Carlo. Quando c’e il distacco dalla realtà, non c’è capacità di intendere e volere. È come se la persona fosse condizionata da una condizione patologica che fa andare oltre la capacità di intendere e volere. Dobbiamo immaginare di essere scissi tra un “me che resta indietro” e “uno che fa cose”, una condizione che ha una durata variabile. Si possono fare azioni senza senso e poi recuperare anche solo parzialmente. Sono stato chiamato per capire se ci fosse infermità mentale: qui c’era» afferma. Per il professore Di Nunzio, i comportamenti successivi all’omicidio - l’aver letto un passo della Bibbia, l’aver preso un orologio della vittima rotto e di poco valore (poi trovato a casa dell’imputato) o l’aver lasciato gli abiti sporchi di sangue senza disfarsene - rientrerebbero appieno in questa analisi.
«Di Carlo la strada di casa l’ha trovata, si è “ricompattato”. Ma non sappiamo in quanto tempo - ha continuato - Il profilo borderline contiene la reazione rabbiosa. Ma quando si travalica da borderline alla psicotizzazione, si diviene frammentati (schizofrenia). Dobbiamo immaginare di “avere più parti”: posso così fare azioni parallele scollegate, insignificanti, tanto è vero che posso ricordare o non ricordare. In Di Carlo c’è il borderline. In lui c’è stata pure una psicotizzazione. Ci sarebbe voluto un tempo minimo di permanenza in comunità di almeno cinque anni». Quindi ha affermato: «Il suo più grande nemico è il vuoto interiore, un abisso. Ognuno di questi soggetti cerca un modo per ripercepirsi. Di Carlo lo fa con l’alcol: la psicotizzazione del borderline è legata anche alle sostanze alcoliche. I suoi sintomi? Proprio le azioni a-finalistiche. Il borderline è aggressivo, per commettere un reato da cui non si trae un vantaggio si è andati oltre. Si è entrati in una psicotizzazione». L’imputato, ieri presente in aula - come stabilito nella precedente udienza - è stato sottoposto a un esame, ma non a quello richiesto. Così è stato disposto che venga condotto in un’altra clinica per una risonanza magnetica funzionale in grado di vedere le aree cerebrali attive. Un esame volto a escludere eventuali anomalie anatomiche della regione frontale che possano aver influito, che possano aver avuto un peso nei suoi comportamenti. Si tornerà in aula il prossimo 7 maggio per analizzarne i risultati. Anche le difese di parte civile - l’avvocato Marco Rossini per la famiglia della vittima e Licia D’Amico per “Insieme per Marianna” - sono pronte.
Edizione digitale
I più recenti
Ultime dalla sezione