Spazio satira
Arte e colore
27.02.2024 - 20:58
Assistere a un suo monologo è un'esperienza entusiasmante. Un crescendo di emozioni che toccano in chiaroscuro l'amore, la solitudine, la coppia, la politica… Eugenia Faustini, frusinate, giovane attrice ma anche molto di più, si presta alle domande di Ciociaria Oggi parlando della sua arte. Anzi, delle sue arti…
Quando è arrivata la vocazione?
«Ero molto piccola, avrò avuto tre o quattro anni, e in televisione vedevamo l'opera "Madama Buttefly" di Puccini: ogni famiglia ha le proprie abitudini e la mia mi ha cresciuta a pane e lirica. Rimasi così colpita dai colori vividi della scena e dalla storia così forte della protagonista, tanto che ancora ne ricordo le immagini, che pensai: io voglio fare questo nella vita, ma con un po' meno musica!».
Attrice, regista, cantante, pianista, ballerina, coreografa, autrice di testi… L'Inps dovrà faticare per capire quale sia la sua attività principale… Che cosa distingue un bravo attore da un frigorifero, a suo parere?
«Riesco a vedere più similitudini che differenze, le dico la verità: un frigorifero vuoto difficilmente darà da mangiare, così come un attore che se non si nutre di materie prime di ottima qualità rigurgiterà quello che ha, poverino! Una differenza, a pensarci meglio, potrebbe essere questa: di un bravo attore puoi sentire bene la voce, mentre se senti il vociare di un frigorifero probabilmente ti sta suggerendo che deve essere cambiato. Comunque credo che l'ecletticità alla lunga ripaghi sempre: maggiori sforzi ma anche maggiori soddisfazioni».
Meglio un bravo maestro, un buon manuale di recitazione o un imprinting genetico?
«Preferisco avere più fortuna che talento, questa è sicuramente una verità! Al di là elle battute, un duro lavoro costante, una determinazione da fare invidia alle onde del mare che non si stancano mai di ripetersi e gli incontri giusti sono gli ingredienti essenziali per farcela. E poi si impara da tutto, dai cattivi maestri, da ciò che si è visto e letto, dalla propria esperienza, dal contatto con gli altri: il segreto della preparazione è osservare la vita e rubare, rubare, rubare con gli occhi».
Quanto è importante il ballo nella sua vita?
«Tutto parte dal corpo, l'ho imparato da bambina ed è un insegnamento che mi sono portata dietro da sempre. Danzare mette in connessione la mente e l'istinto».
E per quanto riguarda il canto?
«Fin da piccola ho sempre sentito cantare, avendo una mamma cantante (Orietta Manente, celebre soprano collaboratrice di Ennio Morricone, ndr), e questo ha aiutato il mio orecchio a essere molto preciso con l'intonazione. Penso anche che tutti dovrebbero cantare perché il canto produce endorfine sia in chi canta che in chi ascolta. Insomma, cantare allunga la vita».
E la poesia?
«È stata una breccia. L'incontro con la poetry slam, genere poetico caratterizzato da un linguaggio incisivo e penetrante, fondato sull'oralità, la cui esecuzione avviene sotto forma di gara nella quale i concorrenti si sfidano con i propri testi, è stato un varco per liberare la mia scrittura creativa».
Ascoltando un suo recente monologo sul rapporto di coppia… sono tutti così, gli uomini, o se ne salverà qualcuno?
«Io spero davvero che se ne salvi qualcuno, altrimenti dovrò gettare la spugna e io non mi sento ancora pronta. In un mondo che cambia tanto rapidamente, sia per un sesso che per l'altro, è molto difficile spostare i propri punti di vista e sradicarsi dalla zona di confort, ma è necessario per crescere ed evolversi e chissà, magari, riuscire a comunicare davvero a un livello più profondo».
Che cosa è l'ironia?
«L'ironia per me è la chiave di tutto. Anche nella vita aiuta a vedere le cose con più distacco e a contenerle. Si può davvero ridere di tutto. In senso artistico mi aiuta a predisporre lo spettatore, ad aprire la sua anima attraverso lo squarcio di un sorriso e poi entrare attraverso quel varco lasciato aperto per dire qualcosa di profondo e vivo che accomuni tutti. Così, senza che lo spettatore se ne accorga, ridendo, inizia a pensare. Credo che questo sia lo scopo più alto dell'ironia».
Che cosa si può vedere dal palcoscenico? È un osservatorio privilegiato per uno spaccato della società?
«Il panorama attuale non è dei più rosei, purtroppo, c'è tanto caos sia a livello istituzionale sia amministrativo. La burocrazia italiana è una brutta bestia che va domata, ma il più delle volte si imbizzarrisce e ti mangia. In questo momento però c'è molto fervore, soprattutto giovanile, sulle politiche culturali, e non solo, del Paese. C'è un lavorio costante, ci sono buoni semi che sbocceranno presto in un cambiamento reale di cui abbiamo un gran bisogno».
Il titolo della sua tesi di laurea è "Le molteplici tradizioni dell'attore d'opera cinese": perché così lontano?
«Perché solo andando lontano, conoscendo nuove culture e abitando altri pensieri, ci si rende conto che la diversità è la più grande ricchezza che possediamo. Anzi, spesso la diversità è solo una declinazione differente di uno stesso punto di vista. È l'altra faccia della medaglia. Solo aprendosi si vede la bellezza e ci si riconosce simili in quanto tutti esseri umani».
Quali sono i suoi temi preferiti, come autrice?
«La famiglia è sicuramente un campo prediletto, ritorniamo tutti lì quando ne abbiamo bisogno. Poi la crisi adolescenziale, la crisi di coppia, la crisi dei trent'anni, insomma, le crisi sono grossi spunti per riflettere, interrogarci e autoanalizzarci».
In Francia danno un sussidio agli attori riconosciuti dallo Stato. In Italia?
«Ecco questo è un nodo spinoso, davvero. Durante la pandemia si è cercato di ottenere un reddito di discontinuità anche in Italia, che si è trasformato nel solito bonus Inps a cui accede paradossalmente chi lavora di più invece di chi ne avrebbe vero bisogno. È stata persa una buona occasione di riscatto per la categoria, mentre la discutibile misura è andata a rimpinguare le casse di pochi».
Che ha Roma in più rispetto a Frosinone?
«In uno degli ultimi pezzi che ho scritto faccio una non troppo celata invettiva su Roma, che ha dalla sua sicuramente moltissimi pregi, ma è una città faticosa da vivere, fra spostamenti e alienazione. È ancora una metropoli provinciale, grande, forse troppo, ma la trovo pur sempre piena di stimoli, che in provincia trovi faticosamente. Il ventaglio di proposte è molto ampio, anzi, scegliere è spesso molto complesso. Un mio monologo, a tal proposito e con riferimento a Roma, comincia così: "In questo supermercato che è la vita, io mi sento un po' intontita!". Comunque a Frosinone gioco in... casa».
Le dà più soddisfazione recitare i suoi testi o quelli altrui?
«È un processo molto diverso. Recitare le parole di altri ti dà una protezione. Anche se l'emozione che provi è tua, sono pur sempre parole di altri, è una coperta di Linus. Puoi comunque dare la responsabilità a qualcun altro se la torta non esce benissimo, ecco. Mentre recitare le proprie parole ti espone completamente, ti mette molto più a rischio, molto più a nudo; però se in questo modo riesci a toccare emotivamente anche solo uno spettatore, la soddisfazione è triplicata. Riconoscersi e vedersi riflessi negli occhi degli altri, questo ci dà il senso che esistiamo veramente».
Nella funzione storicamente catartica del teatro, l'attore sta all'influencer come…?
«Come Paris Hilton sta a Gandhi! Questo dovrebbe essere il giusto parallelo. Purtroppo non è così e sempre più produzioni cercano i grandi numeri sui social, questa pubblicità che nessuno ha veramente voglia di fare ma che sei costretto a fare, perché se non ci sei virtualmente, non esisti. Oggi sembra più semplice arrivare da influencer ad attore, ma prima o poi ci stancheremo anche di questo, ne sono certa».
Vede partecipazione dei giovani al teatro?
«Sì, assolutamente, c'è molto più di quanto si pensi. Dipende ovviamente dal target del teatro, ma i giovani devono solo essere stimolati, avere prezzi dei biglietti accessibili e informazioni più capillari. Se si prende uno spettacolo meno patinato e ben fatto i giovani ti seguiranno».
Ha un suo sogno da realizzare?
«Si è sempre pieni di sogni ma quello che vorrei veramente è aprire un centro culturale che faccia da contenitore di progetti più ampli. Dall'insegnamento ai più giovani alla strutturazione di spettacoli che abbiano un respiro artistico completo, spaziando dalla musica, alla danza, alla scrittura. Bisogna sognare in grande e presto».
Deriverà, la fretta culturale di Eugenia, dal fatto che sia nata tardiva, cioè di dieci mesi, come si evince dalla sua poesia "Feta"?
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