Spazio satira
Il dramma sacro
08.02.2023 - 20:35
Tra il Seicento e il Settecento Ubertino Carrara fu un poeta epico latino di indubbio e riconosciuto valore artistico. Nonostante sia stato poi quasi completamente ignorato dalla critica e dai lettori delle epoche successive, contribuì al rinnovo della letteratura italiana dopo l'età barocca, anche grazie alle cariche di responsabile del settore culturale latino che ricoprì in seno alla Reale Accademia privata di Maria Cristina di Svezia, e poi nell'Accademia dell'Arcadia romana.
Nato a Sora nel 1642 da una nobile famiglia bergamasca (un ramo della quale si era trasferito in Ciociaria un paio di secoli prima), frequentò il locale collegio dei gesuiti istituito dalla famiglia Buoncompagni; appena quindicenne, vestì l'abito religioso della Compagnia di Gesù, trasferendosi a Roma per completare la sua formazione. Ed infatti, terminati gli studi, cominciò ad insegnare retorica prima a Macerata e Siena, per poi fare ritorno a Roma nel prestigioso Collegio Romano. Raggiunta fama di valente letterato – molte sue composizioni poetiche sono inserite in antologie dell'Arcadia – ed essendo un raffinatissimo oratore e dotto latinista, fu aggregato, come dicevamo poc'anzi, all'Accademia dell'Arcadia, all'interno del quale assunse lo pseudonimo di Eudosso Pauntino. È presumibile che fu proprio Ubertino, insieme con altri letterati, a compilare le leggi del nascente ceto accademico.
Il Carrara compose tre poemetti di carattere encomiastico. Il primo – In victoriam de Scythis et Cosacis sub auspiciis Ill.mi et Ex.mi D. Ioannis Sobieski – venne edito a Roma nel 1668 e celebra (in una forma ancora giovanile e piena di richiami ad Omero) la vittoria del futuro re di Polonia Giovanni Sobiescki sugli Sciti e i Cosacchi. Il secondo, pubblicato a Roma nel 1678, si intitola Augustae Proli Archiduci Austriae Genethliacon, ed è, come dice lo stesso titolo, un omaggio (stavolta più fluido e ricco di esuberanza stilistica) al figlio dell'imperatore austriaco. Il terzo poema (ma l'autore lo definisce "epinicio", cioè un canto celebrativo per una vittoria guerresca) è dedicato all'imperatore Leopoldo I d'Asburgo, che aveva sconfitto i Turchi nei pressi del fiume Tibisco (in Ungheria) nel 1697.
Il capolavoro di Ubertino è però il poema epico latino Columbus, stampato per la prima volta a Roma nel 1715 (con dedica al cardinale Benedetto Pamphili, che era un suo ammiratore e mecenate). Modellato sull'esempio dell'Odissea e dell'Eneide, celebra in dodici canti la figura e l'impresa di Cristoforo Colombo scopritore dell'America.
Ma Ubertino fu anche autore di un'altra opera: un dramma sacro in latino. Si intitola Samson vindicatus ed è più precisamente un oratorio. Infatti, il frontespizio dell'edizione a stampa, precisa che esso è "decantandum", cioè "dovrà essere cantato". Infatti, l'oratorio è un genere musicale, eseguito come concerto, che si distingue dall'opera lirica vera e propria, dal momento che non prevede una rappresentazione scenica o personaggi in costume. È composto per voci soliste e coro, su argomenti di soggetto religioso, o più raramente mitologico.
Eseguito per la prima volta il 25 marzo 1695, presso il Sacello dell'Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, il Samson vindicatus dovette avere un duraturo successo, laddove consideriamo che esiste una ristampa del 1707 approntata in occasione di una nuova performance sempre presso il Santissimo Crocifisso. L'opera rispetta tutti i canoni dell'oratorio. Infatti, il racconto delle vicende di Sansone – riassunte nell'Argomento che precede il testo vero e proprio nell'edizione a stampa – è distribuito tra quattro personaggi (Sansone, Dalila, il Re e il Prefetto dei soldati), ai quali si aggiunge il coro dei principi dei Filistei. Anche la fonte biblica è rigorosamente rispettata.
La musica dell'operetta è attribuita ad Alessandro Scarlatti, considerato il maggiore compositore d'opera italiano tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo. Il testo venne inizialmente (ed erroneamente) attribuito al cardinal Benedetto Pamphili (del quale effettivamente si è giunta una ricca produzione di oratori, alla quale dedicheremo una prossima puntata).
Il frontespizio dell'opera – sia nell'edizione del 1695 che in quella del 1707 – non indica nessun nominativo dell'autore (cosa non infrequente all'epoca). Tuttavia, l'esemplare conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma (risalente alla prima edizione), reca una nota manoscritta risalente proprio al 1695 che dice testualmente "Auctor est P. Carrara". Era generalmente questo l'espediente che si usava per ricordare chi fosse l'autore di un'opera che restava anonima nell'edizione a stampa. Per chi volesse saperne di più, il testo del dramma sacro di Ubertino Carrara è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma (collocazione 34.4.F.1.6). L'edizione del 1707 è liberamente scaricabile da Google Libri.
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