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Sinner, un trionfo annunciato che profuma di storia

Il successo alle ATP Finals di Torino suggella la stagione d'oro del numero uno del mondo

Sinner

Sinner, un trionfo all'ombra della Mole

Una vittoria annunciata,ma non per questo meno inebriante. Jannik Sinner è il giocatore simbolo, il favorito, il predestinato e tanto altro ancora. In un’austera Torino, sempre in precario equilibrio tra il peso della storia e le esigenze di modernità, all’ombra della Mole Antonelliana, il giovanotto venuto dalle montagne respira il suo trionfo ancor prima di metter piede in campo.
Con lui viaggiano le certezze di una stagione indimenticabile: 69 vittorie e 6 sconfitte a suggello di un’annata indimenticabile, con due major, 3 mille e 2 “cinquecento” in bacheca.
E’ una domenica di novembre, rigida come esige l’inverno che arriva. E disegna foglie ingiallite, ammanta di nostalgia Via Micca e Piazza Castello, colora l’attesa di sapori indomabili. Jannik raggiunge l’Inalpi Arena e sa che gli occhi saranno tutti su di lui: sui suoi gesti, su quel desiderio appagato di coordinazione e armonia. Dovrà essere autorevole come un direttore d’orchestra, ispirato come un pittore toccato dalla grazia. Dovrà essere tutto quello che la folla vorrà. La folla ha sete di vittoria. Per tanti anni ha dovuto eleggere beniamini nati oltre confine, fruitori pro tempore del trono vacante della fantasia. Invece adesso c’è lui, Jannik da San Candido, che può realizzare i sogni senza tempo di quell’esercito variegato, che può dar sostanza a quei desideri esposti prima con un certo pudore, poi sempre più evidenti. La vittoria ormai è un’ombra che lo accompagna e lo traghetta oltre i dubbi, oltre la valenza di avversari che contro di lui danno il 100% e qualcosa di più. Taylor Fritz è il più autorevole interlocutore del momento: lo ha chiarito superando in una semifinale stellare Sacha Zverev, risorto dopo l’infortunio che ne mise in dubbio la carriera. Sacha non aveva fatto i conti con l’ardore stelle e strisce di un Fritz cresciuto in modo esponenziale in questo 2024. Taylor, la mina vagante, avrebbe persino realizzato l’impresa d’esser profeta in patria, se sulla sua strada, all’Open Usa, non avesse trovato Jannik, l’Excalibur in luogo della racchetta. Ma vuole riprovarci. Per sé, per il suo team, per tutti coloro che non accettano la supremazia di quel giovanotto dal ciuffo rosso e dallo sguardo pulito.
Sembra faccia cose semplici, Jannik Sinner, quando cerca e trova l’incrocio delle righe con i suoi rovesci lungolinea, quando immagazzina 15 ace in due set, quando ingaggia una battaglia di colpi veloci come il pensiero con quello sfidante che non molla, fino all’ultimo punto.
Nessun grido, nessun gesto isterico, nessuna danza tribale. Uno sguardo al Cielo, una stretta di mano all’avversario tenace, un grazie al pubblico. E un sorriso. Lui è così, fa apparir semplice ciò che è straordinario, forse perché è straordinaria la semplicità di un 23enne numero uno al mondo. Nella classifica ATP ha i punti di Alcaraz e Djokovic messi insieme, ma non si abbandona mai a un gesto guascone. E’ una grandezza, la sua, che viene dal lavoro, dal coraggio, dall’applicazione. Non c’è bisogno di gridare. Si può essere grandi anche in modo garbato.
 

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