C'era una volta il Partito Democratico: renziano, arrembante, innamorato delle primarie, pronto a contarsi in ogni elezione dove votava il popolo sovrano. Anche in provincia di Frosinone. Un Pd che aveva come obiettivo quello di riformare la Costituzione e aprire una nuova fase del Paese.
Nel 2013 (non un secolo fa) alle elezioni politiche il Pd riuscì ad eleggere due senatori in Ciociaria: Francesco Scalia e Maria Spilabotte. Poco dopo sarebbe arrivato anche un deputato, Nazzareno Pilozzi, entrato a Montecitorio nelle file di Sel. In quel periodo Francesco De Angelis, leader indiscusso del Pci-Pds-Ds-Pd, ricopriva il ruolo di europarlamentare, ruolo anche questo ottenuto grazie a tantissime preferenze.

Poi qualcosa si è inceppato, a livello nazionale soprattutto. E sono arrivate sconfitte a raffica: sul referendum, alle amministrative (Roma e Torino su tutte), fino al crollo delle politiche del 4 marzo. Con la stagione del renzismo fortemente ridimensionata. La provincia di Frosinone non ha fatto eccezione. Forse non si è riflettuto abbastanza su quello che è realmente successo. Vale la pena ricordarlo. I tre parlamentari uscenti (Scalia, Spilabotte e Pilozzi) non sono stati riconfermati. Anzi, con la sola eccezione della Spilabotte, che ha comunque concorso nel collegio maggioritario del Senato (perdendo da Massimo Ruspandini, leader di Fratelli d'Italia), gli altri sono stati "dirottati" in collegi proporzionali fuori provincia, peraltro in posizioni non eleggibili. E Francesco De Angelis, designato in posizione numero 3 nel collegio proporzionale comprendente le province di Frosinone e Latina, è rimasto fuori da Montecitorio. Il capolista (eletto) era Claudio Mancini. Per completare il quadro, Francesca Cerquozzi, nel collegio maggioritario della Camera nord, non ce l'ha fatta. Lì ha vinto Francesco Zicchieri, coordinatore regionale della Lega. Una Caporetto, di consensi, oltre che di natura politica.

Nel frattempo, però, il Partito Democratico ha rafforzato la tradizione negli enti intermedi locali. Francesco De Angelis è stato confermato presidente dell'Asi (la prima volta fu eletto grazie al sostegno decisivo del Comune di Frosinone, guidato dall'allora forzista Nicola Ottaviani), mentre al vertice della Saf Lucio Migliorelli ha raccolto il testimone da Mauro Vicano. Entrambi fedelissimi di De Angelis. Unica eccezione il Cosilam: alla presidenza è andato Mario Abbruzzese (Forza Italia). Ma se è vero che il centrodestra aveva comunque la maggioranza, è altrettanto indubitabile che il via libera di De Angelis c'è comunque stato. Questioni di un asse di ferro trasversale che è nei fatti. Malgrado le smentite che appaiono come atti dovuti.

Pochi giorni fa, esattamente il 31 ottobre scorso, Antonio Pompeo è stato riconfermato a valanga alla guida della Provincia. Quattro anni fa aveva vinto il "derby" del Pd con Enrico Pittiglio. Ora Antonio Pompeo rappresenta una sorta di eccezione, non fosse altro perché come sindaco di Ferentino è stato confermato al primo turno qualche mese fa. A dimostrazione che lui ha anche il consenso del popolo sovrano. E alle provinciali ha saputo imbastire negli anni una rete di contatti capaci di andare oltre il Pd. Oltre perfino il centrosinistra.

Ma, Pompeo a parte, cosa è successo al Partito Democratico in provincia di Frosinone? Parliamo di una forza politica che Valter Veltroni aveva immaginato a vocazione maggioritaria, proprio per vincere le elezioni ad ogni livello. Al di là delle dinamiche nazionali, condizionate dalla profonda crisi del renzismo, in Ciociaria il Pd non può non interrogarsi sul serio. Perché dalle nostre parti il centrosinistra ha vinto per anni nei Comuni (Frosinone, Ceccano, Cassino, Alatri, Anagni, Sora) anche quando il centrodestra straripava e a Camera e Senato faceva "filotto". Inoltre, per ben tre volte consecutive (una con Loreto Gentile, due con Francesco Scalia), l'Ulivo ha vinto alla Provincia quando l'allora Popolo delle Libertà aveva una roccaforte inespugnabile in Ciociaria. Merito delle capacità di Scalia e De Angelis di disarticolare il fronte avversario, ma anche di ottenere voti sul campo.
Si potrebbe obiettare che alle regionali del 4 marzo il Pd ha eletto due consiglieri regionali (Mauro Buschini e Sara Battisti) grazie alla forza elettorale di Francesco De Angelis. Vero, ma quella è l'eccezione. La regola, invece, è fatta di sconfitte negli ultimi due anni, ogni qual volta hanno votato i cittadini: referendum, comunali, politiche. La trincea degli enti intermedi resiste, ma lì il discorso è diverso. Perché su quel terreno il tempo sembra essersi fermato: i Cinque Stelle sono praticamente inesistenti, la Lega non ha la forza che invece dimostra sul piano nazionale e locale. Il motivo non è soltanto da ricercare nel fatto che non votano i cittadini e che la parola ce l'hanno sindaci e amministratori comunali. Il fatto è che in quel contesto gli accordi trasversali si possono ancora fare. E infine il centrodestra prosegue nella sua tradizione autolesionista. Però il Pd locale si illude se pensa che dagli enti intermedi si può cominciare la risalita. Si tratta piuttosto di un canto del cigno. Non è una questione di poltrone da conservare. Il vero nodo del contendere è il popolo sovrano da riconquistare.