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Roma, Regione e Pd. Il codice Mancini

Il parlamentare: «Ma quale Richelieu, sono un front runner. Alla giunta Rocca manca una visione, questa è la realtà»

Claudio Mancini

Claudio Mancini viene da lontano. Ha iniziato la sua attività politica nel Partito Comunista Italiano. Quindi, dopo la svolta della Bolognina (1991) di Achille Occhetto, ha aderito al Pds. Nel 1998 ci fu il passaggio ai Democratici di Sinistra, con la “regia” di Massimo D’Alema. Nel 2007 la nascita del Partito Democratico, tenuta a “battesimo” da Walter Veltroni. È al secondo mandato da parlamentare, ma ha ricoperto altresì i ruoli di consigliere e assessore regionale. Il “filo” che ha costantemente tenuto insieme il suo impegno politico si snoda lungo l’analisi, il ragionamento, la visione e la “passione”. Non a caso sui prossimi referendum ha detto: «Il voto (cinque sì) come scelta di merito ma anche come segno di partecipazione e dissenso».

Allora Mancini, la leggenda narra che lei ricordi molto il Cardinale Richelieu. Si riconosce in tale definizione?

«Francamente no. Non mi ci riconosco. E sa perché? Perché sono sempre stato un “front runner", uno che si è candidato in competizioni anche senza rete. A 23 anni sono stato eletto presidente di un Municipio di Roma di 150.000 abitanti. A 37 anni ho ricoperto il ruolo di assessore regionale dopo aver preso 16.000 voti tra Roma e provincia. Poi nel 2011 è successo un fatto che ha cambiato la mia vita».

Vogliamo parlarne?

«Certamente. Nel 2011 ho dovuto fare i conti con un aneurisma cerebrale dal quale sono uscito miracolosamente vivo ed illeso. Ma il contraccolpo psicologico è stato forte e dopo è cambiato il mio modo di vivere e di lavorare. Per usare una perifrasi calcistica, da trequartista che cerca di saltare l’uomo e fare gol, mi sono trasformato in un mediano. Diciamo che vado meno ad esultare sotto la curva e ragiono di più in cabina di regia. Sono stato qualche anno fuori dalla politica nonostante mi venissero proposti diversi incarichi ho preferito prendermi una lunga pausa. Da qualche anno ho il privilegio di stare in Parlamento e sono grato al mio partito ed alla mia comunità politica».

Quanti ministeri vale il Comune di Roma? È corretto dire che si tratta della postazione più importante che il Pd governa in questa fase?

«Intanto cominciamo a dire che il Pd, oltre a Roma, governa metropoli come Milano, Torino, Napoli, Bologna e tante altre. Speriamo anche Genova tra poco. Ritengo che il buon governo di queste città rappresenti il nostro migliore biglietto da visita per costruire una solida e autorevole alternativa al Governo delle destre. Per quanto concerne nello specifico il Campidoglio, non ne farei una questione di potere. In realtà governare Roma assume una valenza politica. Lo si è visto con la straordinaria manifestazione per l’Europa e per la pace indetta dai Sindaci in piazza del Popolo. Un evento simbolico, se vogliamo, che la destra non ha compreso. Amministrare la Capitale comporta oneri ed onori e per il nostro partito essere tornati a governarla in maniera così convincente sarà un punto di forza».

Roberto Gualtieri, Claudio Mancini, Albino Ruberti: un asse molto forte. Come va letto sul piano politico?

«Rispondo così: il sindaco Roberto Gualtieri sta amministrando benissimo Roma e ha una squadra molto forte e ampia. Albino è una forza delle istituzioni ed è bene che sia tornato ad un ruolo centrale. Io non ho compiti di gestione e do il mio contributo quando serve. Devo dire sempre meno ora che le cose vanno meglio. Oggi a Roma c’è una nuova generazione di consiglieri comunali e presidenti di Municipio fatta di donne e uomini motivati, forti e preparati. Rappresentano un patrimonio politico irrinunciabile a cui affidare sempre di più la responsabilità della guida della città».

Come giudica l’operato politico della segretaria nazionale Elly Schlein?

«Apprezzo la saldatura unitaria che Elly Schlein ha determinato con uno slancio nuovo del partito nella società e nelle istituzioni. Un buon risultato del Pd servirà per la vittoria della coalizione. La futura legislatura sarà quella che eleggerà il nuovo presidente della Repubblica, dobbiamo tenerlo a mente. Se la Destra dovesse vincere ancora, potrebbe imprimere a questo Paese un cambiamento istituzionale senza precedenti. Enorme. Una prospettiva fortemente negativa per le classi popolari, i giovani e le donne. Io interpreto il testardamente unitario come l'indicazione a lavorare, ciascuno dalla sua postazione, ad una aggregazione ampia e forte, in grado di scongiurare una ulteriore egemonia delle destre».

Non ritiene che ci sia un enorme problema di alleanze? Il Campo Largo ha ancora senso?

«Con il Movimento Cinque Stelle e con l’area centrista (mi riferisco anche a Matteo Renzi) abbiamo in comune l’esperienza del Governo Conte 2. Apro una parentesi: quel Governo ha guidato l’Italia in un momento di emergenza assoluta mai vista prima. Mi riferisco alla pandemia. E lo ha fatto bene, gettando le premesse per la ripartenza del Paese. Non vedo difficoltà a trovare una formula in grado di tenere tutto e tutti insieme. Attraverso un’alleanza che rispetti le diverse sensibilità, ma che sia costruita anche nel solco di un programma comune sulle cose che davvero interessano i cittadini. Lo dico meglio: un’alleanza che abbia un profilo di identità politica e sociale riconoscibile e chiaro. Sono certo che al momento giusto il fronte progressista sarà unito»

Un giudizio su oltre due anni di giunta Rocca alla Regione Lazio.

«Mettiamola così. Non mi pare che trai cittadini ci sia entusiasmo per come il centrodestra e la giunta Rocca stanno governando il Lazio. E quindi per questa esperienza di Governo. Inoltre nell’aula della Pisana le opposizioni hanno iniziato a far emergere in maniera efficace e clamorosa l’enorme differenza che separa quelli che erano stati gli impegni di inizio legislatura e i risultati ottenuti. C’è una voragine. Peraltro, particolare non trascurabile, il centrodestra si sta caratterizzando per un vuoto legislativo impressionante. In aula portano soltanto mozioni e ordini del giorno. Dove sono le proposte di legge, le scelte di programmazione? Manca una visione politico-amministrativa, questa è la realtà».

A proposito di Regione: quando inizierete a pensare alle prossime elezioni?

«Le future fasi elettorali vanno inquadrate bene. Tra due anni ci troveremo in questa situazione: al voto andranno il Comune di Roma e il Parlamento. Sullo sfondo ci saranno le future elezioni regionali del Lazio. Quindi, un ciclo elettorale complesso e complessivo. E noi lo affronteremo con una regia unitaria. Non mi nascondo dietro un dito: certamente una vittoria alle comunali di Roma renderebbe la Regione Lazio più “contendibile” e più forte la presenza parlamentare del Lazio. Lavoreremo per questo. Teniamo presente che alla fine però i protagonisti saranno gli elettori. È a loro che dobbiamo guardare».

Veniamo al Pd laziale. Sosterrebbe ancora la candidatura di Daniele Leodori alla segreteria? E come valuta Leodori segretario? È vero che si aspetterebbe un passo indietro di Francesco De Angelis nel ruolo di presidente regionale del partito visto che ha aderito ad AreaDem mentre la carica era in quota a Rete Democratica?

«Allora, facciamo ordine. L’indicazione di Daniele Leodori alla segreteria regionale del Pd avvenne in circostanze drammatiche, dopo la prematura scomparsa di un uomo e di un politico del valore di Bruno Astorre. La nostra comunità era sotto choc. Allora decidemmo che fosse giusto dare una risposta forte nel segno dell’unità e della continuità. Daniele Leodori ha gestito bene le elezioni amministrative che ci sono state in questi anni. Torniamo alle metafore calcistiche: questo però è stato il pre-campionato. Le partite che contano inizieranno a giocarsi adesso e poi il campionato vero e proprio terminerà con le regionali. Occorre un partito che abbia uno spirito unitario e che si muova nel solco del pluralismo. Lo spostamento di Francesco De Angelis, da Rete Democratica ad AreaDem, ha squilibrato alcuni assetti. Ma il punto non è mai personale, il sottoscritto non ha mai detto che De Angelis sia un problema. Sul tavolo c’è una situazione che porta alla necessità di un riassetto degli equilibri all’interno del partito. Nulla di personale. Mai».

Come valuta le attuali situazioni delle federazioni del Pd a Latina e a Frosinone? Quali le sue proposte?

«Beh, a Latina si va verso un congresso unitario nell’ambito del quale verrà confermata la bontà dell’operato di Omar Sarrubo. Un’azione di importante radicamento del partito in un contesto geopolitico caratterizzato dalla presenza di una Destra molto forte. Per quanto riguarda Frosinone, dico questo: Luca Fantini è stato un eccellente segretario di federazione, peraltro molto giovane. Si ripresenta e fa bene. Non so dire se avrà la forza di vincere o meno il congresso della federazione provinciale. Ma so che continuerà a fare politica da protagonista, perché ha molto da dire e da dare».

La gestione del Giubileo può “lanciare” Roberto Gualtieri in una dimensione politica nazionale?

«No. Gualtieri ha una missione da compiere a Roma e per come lo conosco non ascolterà le sirene della politica nazionale e resterà ben legato al ponte di comando del Campidoglio. All’inizio eravamo in pochi, e tra questi Goffredo Bettini, Dario Franceschini e Beatrice Lorenzin, a pensare che Gualtieri fosse la figura giusta per il rilancio di Roma. Ci mancherebbe che adesso che piace a tutti lo spostassimo. Più che altro sarebbe giusto pensare sin da ora a programmare il Giubileo straordinario del 2033 per dare continuità agli investimenti per la Capitale».

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