Cassino
05.10.2025 - 13:00
Il preside Peppino Grossi (al centro) durante la presentazione del libro di suo padre Tancredi
«I necrologi bisogna scriverli, perché ti può prendere l’emozione e poi rischi di diventare ridicolo»: Peppino Grossi rimproverò bonariamente così il suo amico di sempre, Mario Costa, che durante l’intitolazione al loro amico comune Fausto Pellecchia - da poco scomparso - di una sala nel Palazzo della Cultura, ebbe una piccola defaillance nel pronunciare il discorso commemorativo. Ed è proprio lui, il professor Costa, l’autore del necrologio che oggi durante la cerimonia funebre alle 15 nella chiesa di Sant’Antonio, traccerà, «leggendolo stavolta», il ricordo di quel compianto preside, uomo di cultura, amico sincero e persona buona e affettuosa con tutti, profondamente legato alla sua città. La scomparsa del preside del liceo Classico di Cassino Peppino Grossi, venuto a mancare all’età di 87 anni venerdì, ha lasciato un vuoto incolmabile. Un insegnante di vita, prima ancora che di filosofia. Un grande umanista, dalle indiscusse qualità umane e morali. L’ultimo galantuomo. Tantissimi i ricordi affidati alla piazza virtuale. Intimo e senza eguali quello tracciato dal professor Mario Costa. «Era una delle poche persone che sono rimaste espressione verace di quell’anima cassinese autentica, scanzonata e scherzosa, pur con la sofferenza incisa nel dna di una popolazione che ha sofferto le brutture della guerra e le difficoltà della rinascita» afferma Costa.
«E lui, Peppino, aveva circa 6 anni quando suo padre, l’avvocato Tancredi Grossi, ricoprì il ruolo di vicesindaco negli anni dal 1946 al 1948, con sindaco Di Biasio, occupandosi delle persone e della città in un contesto di brutale devastazione. Ne scrisse un libro più tardi, “Il Calvario di Cassino”, che la città ha ricordato lo scorso anno in occasione degli eventi per l’80° anniversario - ha continuato Costa - Di questo suo libro restano solo poche copie e proprio l’anno scorso il preside Peppino Grossi le donò all’Historiale. Peppino pativa per la dipartita di molti amici e per le brutture della vita, ma da uomo di cultura, che talvolta poteva apparire burbero, amava bacchettare scherzosamente con ironia pungente e divertita, non solo seduto in nostra compagnia su quella panchina in piazza Diaz, ma anche dalle righe del giornale free press “Cassino 7” di cui ero direttore editoriale e sul quale Peppino curava “Cassino ad agosto non è brutta”, parlando di personaggi e costume ed elargendo tirate d’orecchio ora a uno, ora all’altro.
Facendo di quella rubrica la più letta di quel fortunato periodico. Alle vicende politiche della sua amata Cassino, Peppino era sempre attento, per essere stato egli stesso, liberale puro, candidato a sindaco in area socialdemocratica alla fine degli anni 90, dietro la spinta dell’amico Fausto Pellecchia. Da consigliere di opposizione poi, diede il suo contributo per le azioni da portare avanti nel mondo della cultura di cui, da insegnante prima, e da preside poi ha sempre fatto parte». Poi aggiunge: «L’ultima volta che ho parlato con lui fu a metà aprile di quest’anno. Ero in giro a sbrigare delle commissioni quando mi telefonò, come spesso faceva, e mi chiese in dialetto di Cassino (perché tra noi parlavamo in dialetto): “Addò stai?”. La domanda classica che precedeva l’invito a vederci in piazza Diaz. Purtroppo all’alba del giorno dopo ebbe un grave malore da cui non si è più ripreso. Oggi trovo consolazione nel constatare che nonostante fossero ormai diversi mesi che Peppino non circolava più nelle strade della sua Cassino, molti hanno sentito il bisogno di tributargli un ricordo, un pensiero affettuoso, di dargli merito per il suo ruolo di educatore serio ed appassionato come lui stesso concepiva la scuola. E ciò è dimostrazione di quanto radicata fosse la sua persona in questa città».
Anche il sindaco Enzo Salera, suo allievo, ha voluto ricordare pubblicamente la sua «impeccabile eleganza e il fascino discreto di uomo di grande cultura che aveva appassionato al sapere generazioni di studenti di cui mi onoro di far parte». Consola ora immaginare Grossi e Pellecchia filosofeggiare scherzosamente da lassù. Forse anche sul “nostro” professor Costa, chiamato oggi a superare l’emozione di un sì arduo e doloroso compito.
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