Spazio satira
Sora
15.03.2025 - 15:00
Garza laparotomica lasciata nel corpo di una giovane madre dopo l’intervento di parto cesareo. Condannata la Asl di Frosinone e tutta l’equipe medica ed infermieristica. Un calvario lungo e tortuoso culminato con un sentenza a favore di entrambi i coniugi che hanno vissuto quei momenti terribili. Un altro caso di malasanità trattato dallo studio legale degli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi di Roccasecca e deciso dal tribunale di Frosinone. Giustizia è stata fatta per una giovane donna del cassinate.
La vicenda
Tutto parte nel 2018 quando la donna dava alla luce la sua prima ed unica figlia con parto cesareo all’ospedale Santissima Trinità di Sora. Nei giorni successivi a quello che doveva essere il periodo più bello della sua vita, la giovane iniziava ad avere disturbi e malessere generale che i medici riconducevano banalmente ad una depressione post partum.
La scoperta
Stante il peggioramento della sintomatologia e dopo mesi di sofferenze, venivano eseguiti raggi all’addome presso una clinica privata che segnalavano la presenza di un corpo estraneo: avvolta nell’intestino della donna era stata lasciata dai sanitari e dagli infermieri durante il parto una garza laparotomica grande 50x50 cm! La giovane donna subiva un intervento di urgenza presso una clinica privata del Cassinate che le salvava la vita anche se la costringeva alla rimozione di un tratto dell’intestino: se fosse arrivata soltanto qualche ora più tardi non si sarebbe salvata a causa della grave infezione che dall’intestino poteva diffondersi in sepsi generalizzata.
Citazione in giudizio
I legali della donna, gli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi, del foro di Cassino, decidevano di citare in giudizio non solo la Asl di Frosinone ma tutta l’equipe medica, sul presupposto per cui “nell’attività chirurgica d’equipe, con il compimento di un’operazione chirurgica, tutta l’equipe medica assume nei confronti del paziente una vera e propria posizione di garanzia, che impone ad ogni sanitario il rispetto delle regole di diligenza e prudenza”. Alla base di tale posizione è la definizione di attività medica d’equipe che come si legge nella sentenza “si fonda sulla cooperazione fra più sanitari che intervengono all’interno di un unico percorso diagnostico o terapeutico, perseguendo l’obiettivo comune della salute e della salvaguardia del paziente che vi sia sottoposto: la condotta del singolo medico è, dunque, funzionalmente connessa a quella del resto dell’equipe, dal momento che, senza la necessaria interazione fra le competenze tecnico-scientifiche differenti proprie di ciascun componente, lo scopo unitario non potrebbe essere raggiunto”.
La sentenza
Il giudice ha accolto la tesi difensiva degli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi secondo i quali la responsabilità era in capo a tutta l’equipe medica poichè non è dato sapere se l’errore nella conta delle garze sia avvenuto all’inizio, prima dell’inizio dell’intervento chirurgico ovvero alla fine dello stesso, prima della sutura. Pertanto il Giudice del Tribunale di Frosinone ha stabilito che il danno conseguenza, patito dalla donna, risulta essere in chiaro nesso di causalità giuridico-materiale con la condotta dei sanitari (medici e infermieri) che hanno preso parte al parto cesareo e che l’infezione successiva al parto ed il necessario reintervento sono stati conseguenze dirette ed esclusive della reazione infiammatoria generata dalla garza ritenuta in addome. La responsabilità è ascrivibile non solo alla Asl di appartenenza ma a tutta l’equipe medica: “Il conteggio e il controllo dell’integrità delle pezze laparotomiche e dello strumentario chirurgico devono essere eseguiti da due persone ovvero ferrista ed infermiere di sala. Una volta effettuata la conta, questa deve essere comunicata ad alta voce al chirurgo operatore. Quest’ultimo supervisiona e verifica che la conta delle pezze e dei ferri chirurgici sia corretta, cioè che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l’intervento”.
La sentenza del Tribunale di Frosinone è altresì innovativa in relazione al riconoscimento del danno in capo al marito della donna, il quale ha subito secondo il Giudice di Frosinone un pregiudizio di natura morale, connesso ad un vero e proprio stravolgimento della vita quotidiana a causa della condizione della consorte, costretto a gestire da solo sia la bambina appena nata, sia la difficile situazione di salute della madre.
La giovane donna e il marito hanno dunque ottenuto un congruo ed importante risarcimento dei danni, che, affermano gli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi, non potrà cancellare di certo le sofferenze patite ma che si auspica sia da monito per le strutture sanitarie ed i loro operatori a non incorrere in futuro in errori tanto gravi da mettere in pericolo la vita dei pazienti.
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