Arce
13.03.2025 - 15:00
È il 1° giugno del 2001. Serena, studentessa diciottenne di Arce, scompare. Doveva andare dal dentista, ma non farà mai ritorno a casa. Due giorni dopo, il suo corpo viene ritrovato nel bosco di Fonte Cupa ad Anitrella, al confine con Fontana Liri, nel territorio di Monte San Giovanni Campano. Ha le mani e i piedi legati e un sacchetto di plastica stretto intorno al collo.
L’omicidio diventa presto un caso nazionale, complice l’incessante battaglia del padre Guglielmo per ottenere giustizia.
Le prime indagini
Le indagini iniziali si concentrano su Carmine Belli, un carrozziere di Arce, che viene arrestato nel 2003 con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. L’accusa si fonda su indizi labili, tra cui un tagliandino del dentista di Serena trovato nella sua auto e una busta dell’Eurospin simile a quella usata per soffocare la ragazza. Belli trascorre diciassette mesi in carcere, ma al termine del processo nel 2004 viene assolto per insufficienza di prove. L’assoluzione viene confermata in appello nel 2006 e poi in Cassazione. Da quel momento il caso torna in un vero e proprio limbo investigativo.
Il suicidio di Santino Tuzi
Un punto di svolta arriva nel 2008 con il suicidio del brigadiere Santino Tuzi. Poco prima di morire, Tuzi rivela di aver visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce il giorno della sua scomparsa, senza vederla mai uscire. Questo porta a nuove indagini, che si intensificano nel 2016 con la riesumazione del corpo di Serena e nuove analisi scientifiche. Gli investigatori ipotizzano che Serena sia stata aggredita, sbattuta con violenza contro una porta all’interno della caserma e poi trasportata nel bosco, dove sarebbe morta per asfissia.
Il processo ai Mottola
Nel 2017 vengono indagati Franco Mottola (ex comandante della caserma di Arce), la moglie Anna Maria e il figlio Marco, accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Altri due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, vengono incriminati per concorso in omicidio e favoreggiamento. Il processo comincia nel 2021 e si svolge in piena pandemia. La procura sostiene che Serena sarebbe stata uccisa dopo un litigio con Marco Mottola, ma la difesa smonta progressivamente le accuse. Ad assistere al processo non c’è papà Guglielmo. Il 27 novembre del 2019 ha un infarto e finisce in coma. Muore il 31 maggio dell’anno successivo all’ospedale “Fabrizio Spaziani” di Frosinone. Aveva settantadue anni.
Le assoluzioni
Il 15 luglio 2022 la Corte d’Assise di Cassino assolve tutti gli imputati per insufficienza di prove. Il verdetto viene confermato in appello nel 2023. Le motivazioni della sentenza evidenziano l’assenza di prove certe che colleghino gli indagati all’omicidio. La testimonianza di Santino Tuzi viene ritenuta insufficiente, poiché priva di riscontri oggettivi. Non solo, per quanto riguarda i frammenti di legno trovati sul corpo di Serena non si è potuto dimostrare con certezza che provenissero dalla porta della caserma. Poi ci sarebbero la mancanza di movente (l’accusa ipotizzava un litigio legato a questioni di droga, ma non sono emerse prove concrete a sostegno di questa tesi) e l’assenza di impronte digitali e tracce biologiche. Nessuna prova scientifica ha infatti legato gli imputati alla scena del crimine. Infine le incongruenze temporali: il tempo disponibile per commettere l’omicidio e occultare il cadavere è stato giudicato troppo ristretto.
Il ricorso
Arriviamo a novembre del 2024. La Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma presenta ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado nei confronti degli imputati nel processo Mollicone. Tra i punti chiave del ricorso, si evidenzia l’attendibilità delle dichiarazioni del brigadiere Tuzi e la presenza di Serena Mollicone in caserma il giorno dell’omicidio. Martedì scorso la decisione della Corte e il via libera al processo d’appello bis.
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