L'intervista
25.02.2024 - 20:07
La scrittrice Silvia Cinelli
"L'elisir dei sogni – La saga dei Campari" (Rizzoli Editore) è il titolo del primo romanzo di Silvia Cinelli, autrice e sceneggiatrice televisiva, originaria di Monte San Giovanni Campano ma residente a Roma. Laureata in scienze della comunicazione all'università "Sapienza" di Roma, Silvia ha seguito a Milano un corso del Centro sperimentale di cinematografia per "scrittura e creazione di serie tv". Il suo romanzo è composto da 65 brevi capitoli, per un totale di 322 pagine. L'abbiamo incontrata e intervistata.
Un viaggio nella storia di casa "Campari"...
«Il libro tratta la storia di Gaspare Campari, colui che inventa il famoso bitter rosso, e di suo figlio Davide che, alla sua morte, prende in mano le redini dell'azienda, portandola a un successo ancora maggiore. Lui, come suo padre, è un talentuoso liquorista, ma ha anche grandi doti da imprenditore e farà proprio fare un salto alla Campari, dalla dimensione artigianale a quella industriale. Intorno a Davide ci sono gli altri componenti della famiglia, tutta una serie di personaggi, intellettuali, artisti, politici che, effettivamente, frequentavano il "Caffè Campari". Di Davide racconto però anche i moti dell'animo, cioè le sue ambizioni, le delusioni che ha avuto, gli amori, e quindi cerco di delineare un po' il personaggio a tutto tondo, lui e gli altri componenti della famiglia».
Il tuo primo romanzo...
«Sì, questo è il mio primo romanzo. Ho collaborato con altri autori, sempre per la casa editrice Rizzoli, però questo è il primo romanzo scritto e firmato da me».
Quanto c'è di vero e quanto invece di romanzato?
«Tutto ciò che riguarda la storia e la storia aziendale è documentato. Quello che sono riuscita a sapere su casa Campari l'ho raccontato così come reperito dalle fonti. Stessa cosa per quanto riguarda le informazioni di base dei personaggi, quindi date di nascita, di morte, matrimoni... Ciò che è inventato, è l'intimità dei personaggi e le loro vite private, soprattutto per quanto riguarda Davide ho creato un triangolo amoroso con un personaggio che effettivamente è stato sua moglie, la Poggeschi, e un altro personaggio, all'altro vertice del triangolo, che è invece inventato».
Come è nata l'idea di scrivere un romanzo proprio sul famoso bitter rosso?
«L'idea mi è venuta, semplicemente, notando questa scritta sulla bottiglia del Campari: "Davide Campari Milano". Io mi trovavo, in quel momento, proprio a Milano e ho fatto questo collegamento. Poi, andando poi a fare le prime ricerche e leggendo le prime informazioni sulla biografia di Davide, ho capito da subito che c'era uno strettissimo legame tra la storia del bitter, l'aperitivo e la Milano dell'epoca, perché questo rituale di socialità che porta le persone ad incontrarsi, allo scambio di idee, ad un modo per assaporare la vita e divertirsi, avveniva in un contesto d'eccezione, in una città appunto che si prestava per accogliere questa novità. Ciò mi ha molto incuriosita e quindi, raccontando un po' la storia dei Campari, cerco anche di restituire le atmosfere dell'epoca, della Milano degli anni precedenti la Belle Epoque».
Quale messaggio vorresti trasmettere ai tuoi lettori?
«Ho cercato di raccontare che cosa c'è dietro un grande successo, cioè il lato umano della famiglia che ha portato questo bitter al successo. Per esempio, trattando la figura di Davide, se noi leggessimo semplicemente la sua biografia, vedremmo una fila ininterrotta di successi, ed è vero che lui è stato un imprenditore di grande successo. Però io ho cercato di svelare anche l'uomo dietro l'imprenditore, ho provato a raccontare le fragilità, anche i suoi fallimenti a livello amoroso, sentimentale, ho tentato di far venire fuori la parte che rimane più in ombra ma che, forse, è anche quella più interessante. Non c'è alcun intento pedagogico in quello che ho fatto, mi accontenterei di sapere che i lettori, leggendo il libro, si divertano e si emozionino. Tutto qua».
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