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La storia

La vocazione di Francesco

In un tempo di vita frenetica, social e intelligenza artificiale, la scelta controcorrente del monachesimo. La chiamata del Signore, il percorso di fede e l’invito ai giovani nelle parole di dom Ambrogio

La vocazione di Francesco

In un tempo segnato dalla velocità dei social, dalla moltiplicazione delle distrazioni, dalle stravaganze dell’apparire e persino dall’avanzare dell’intelligenza artificiale, la scelta monastica sembra andare deliberatamente controcorrente.

I gusti, i linguaggi e gli stili di vita di giovani e adulti si mimetizzano sempre più con la società contemporanea, rendendo difficile distinguere ciò che è essenziale da ciò che è effimero.Eppure, anche in questo scenario, c’è chi sceglie il silenzio, la stabilità e la ricerca radicale di Dio. La preghiera e il lavoro tra le alte e portentose mura di un monastero. È il caso del novizio Francesco Attademo, che nell’abbazia di Montecassino ha emesso la professione monastica temporanea, ricevendo l’abito benedettino e assumendo il nome religioso di dom Ambrogio. Un passaggio decisivo vissuto all’interno della comunità guidata dall’abate dom Luca Fallica, segno che la tradizione monastica non appartiene al passato, ma continua a parlare all’uomo di oggi. Esattamente come fa il messaggio “eterno” di San Benedetto.
Da questa scelta nasce un dialogo profondo per comprendere il senso di una vocazione “antica” vissuta in un mondo profondamente nuovo.

Quanti anni ha?

«Ho 46 anni».

Che cosa sognava di fare da grande quando era bambino?

«Non sognavo di esercitare una professione in particolare, ma ricordo che avevo una “gran sete” di giustizia! Un sogno che, ad oggi, non mi ha ancora abbandonato».

Come è nata la vocazione?

«Cristianamente le rispondo che la chiamata da parte di Dio a una relazione con Lui c’è per tutti. Nel mio caso posso dire che la vocazione a cercare di dare la priorità a Gesù Cristo nella mia vita ha iniziato a maturare pressappoco negli ultimi undici anni, anche se sento di non esserci ancora riuscito pienamente. È nata quando ho attraversato un periodo in cui la grazia mi ha dato la consapevolezza di dover aggiustare qualcosa nella mia vita, di dover aderire alla mia Verità interiore, cioè alla persona del Signore Gesù».

Perché proprio la scelta dell’Ordine benedettino e di Montecassino?

«L’Ordine benedettino non è stato l’inizio del mio percorso, bensì l’ultima tappa di un cammino attraverso il quale il Signore mi ha guidato, anche per mezzo della figura del mio Padre spirituale».

Come fa un giovane oggi a scegliere di dedicarsi completamente al Signore?

«Quando si fa entrare il Signore nella propria vita, ci si rende conto che relazionarsi con Lui è una necessità per l’uomo e non un obbligo. Attraverso il Signore, che è la nostra Verità interiore, si impara a conoscersi realmente: noi spesso ci illudiamo di conoscerci. Questo dovrebbe essere per ognuno l’obiettivo primario della propria vita, se si desiderano risposte concrete sulla propria esistenza e vivere appieno il proprio passaggio sulla Terra».

Come l’hanno presa i suoi genitori? E gli amici?

«In questi casi, l’amore “interessato” dell’uomo può avvertire la cosa come una “perdita”, anche solo parziale, dell’affetto e della presenza di una persona cara. In realtà possiamo dire che l’amore è sano quando si desidera che l’altro sia felice, indipendentemente dai propri sentimenti».

Che comunità ha trovato a Montecassino?

«Come è stato per tutto il mio cammino e come sarà fino alla fine dei miei giorni, penso che il Signore a Montecassino mi abbia donato le persone giuste per continuare a relazionarmi con Lui e per accrescere l’adesione alla mia Verità interiore, che è Egli stesso».

Quali sono i ritmi del monastero? Come vive la sua giornata?

«La giornata del monaco è scandita dalla preghiera liturgica, dalla celebrazione dell’Eucaristia, dal lavoro e dai momenti comunitari della refezione e della ricreazione. Nella quotidianità, come gli altri monaci, svolgo per la comunità, oltre al lavoro, allo studio e all’accoglienza degli ospiti, anche incarichi inerenti alla liturgia».

È il più giovane del monastero?

«No, non sono il più giovane. Nei monasteri spesso si possono incontrare persone più giovani che hanno iniziato prima il loro cammino monastico».

Che cosa significa il monachesimo oggi?

«Per me oggi il monachesimo rappresenta la migliore possibilità che la grazia offre per rispondere alla chiamata del Signore».

Che cosa direbbe alle nuove generazioni che vivono sui social e sembrano avere pochi ideali?

«Inviterei chiunque ad accogliere il Signore nella propria vita; poi sarà Lui a fargli conoscere realmente chi è e come vuole che partecipi alla “Vita”, che è Egli stesso. Quando diciamo “la mia vita”, in realtà compiamo già una chiusura egoistica, perché Dio è la vita stessa a cui partecipiamo. E poi il Signore può passare anche attraverso i social: Lui può tutto!».

Il voto di stabilità implica la possibilità di trascorrere tutta la vita sulla sommità della “città martire”. Come si vive una consapevolezza del genere?

«Quando si inizia a camminare con il Signore non esistono più spazi e tempi definiti. Anzi, il fascino del cammino sta proprio nello scoprire che il vero mondo da esplorare è quello interiore, per il quale si può investire anche l’intera vita».

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