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Frosinone

Estorsione e bitcoin, assoluzione per tutti

Si è chiusa in udienza preliminare un’operazione nata nel 2017. Deciso il non luogo a procedere perché i fatti non sussistono

Estorsione e bitcoin, assoluzione per tutti

Era l’ormai lontano 2017 quando in provincia di Frosinone scattò un’operazione per smantellare una presunta organizzazione che, grazie ai bitcoin, avrebbe lucrato sui riscatti chiesti da chi infettava i computer con i virus.
Un’indagine non semplice, quella del Nucleo speciale di polizia valutaria, che ha portato all’apertura di innumerevoli procedimenti anche in altri tribunali d’Italia. Ma grazie, anche a una serie di sentenze di assoluzioni, ottenute in giro per l’Italia, prodotte al giudice, il gup del tribunale di Frosinone Fiammetta Palmieri ha prosciolto da ogni accusa cinque giovani frusinati e uno di Colleferro con la formula “perché i fatti non sussistono”. Il gup ha dichiarato il non luogo a procedere per Gianpiero Di Palma, Piero Rosa, Marco De Santis, Alessandro Cara, Vergilio Giuffrè e Jerry Antonucci, difesi dagli avvocati Angelo Pincivero e Giuseppe Spaziani. Per Di Palma, frusinate residente a Proseedi, per il quale all’epoca erano scattati gli arresti, l’avvocato Pincivero ora valuterà un’eventuale azione per ingiusta detenzione.

Gli indagati si erano difesi sostenendo di aver creato una società di intermediazione per il cambio degli euro in bitcoin. La procura, però, contestava diversi reati dall’associazione a delinquere all’estorsione, passando per l’accesso abusivo a un sistema informatico, truffa e sostituzione di persona. Grazie anche a una perizia, gli indagati hanno dimostrato che non c’erano loro dietro la rete di hacker che infettava i computer e poi chiedeva il riscatto in bitcoin.
E così, sono riusciti a convincere il giudice delle udienze preliminari che ha così emesso una sentenza di non luogo a procedere per tutti.

I finanzieri avevano sequestrato quattro conti correnti intestati ai due soggetti arrestati nel 2017 nonché quote sociali e patrimonio di una società, la Postebit srl. L’operazione era nata dopo le segnalazioni di operazioni sospette, effettuate su carte ricaricabili, intestate a terze persone, attraverso le quali, in un anno, secondo i calcoli della polizia valutaria, era transitato un milione di euro.

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