Frosinone
18.09.2025 - 07:00
Era l’ormai lontano 2017 quando in provincia di Frosinone scattò un’operazione per smantellare una presunta organizzazione che, grazie ai bitcoin, avrebbe lucrato sui riscatti chiesti da chi infettava i computer con i virus.
Gli indagati si erano difesi sostenendo di aver creato una società di intermediazione per il cambio degli euro in bitcoin. La procura, però, contestava diversi reati dall’associazione a delinquere all’estorsione, passando per l’accesso abusivo a un sistema informatico, truffa e sostituzione di persona. Grazie anche a una perizia, gli indagati hanno dimostrato che non c’erano loro dietro la rete di hacker che infettava i computer e poi chiedeva il riscatto in bitcoin.
E così, sono riusciti a convincere il giudice delle udienze preliminari che ha così emesso una sentenza di non luogo a procedere per tutti.
I finanzieri avevano sequestrato quattro conti correnti intestati ai due soggetti arrestati nel 2017 nonché quote sociali e patrimonio di una società, la Postebit srl. L’operazione era nata dopo le segnalazioni di operazioni sospette, effettuate su carte ricaricabili, intestate a terze persone, attraverso le quali, in un anno, secondo i calcoli della polizia valutaria, era transitato un milione di euro.
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