Bacino del fiume Sacco
28.07.2025 - 08:04
Il Consiglio di Stato lo aveva già scritto nel 2023. «L'inclusione di un dato Comune all'interno di un Sin non significa che ogni singola area all'interno del relativo territorio sia contaminata e debba essere sottoposta a bonifica; l'inclusione nel Sin infatti ha di per sé una sola conse-guenza, ovvero l'accentramento in capo al ministero delle competenze per la bonifica stessa, che deve poi avvenire applicando le relative norme generali». E ora l'ha ribadito con due nuove sentenze, di accoglimento ma anche di rigetto, sempre con riferimento all'inclusione di terreni nel sito d'interesse nazionale Bacino del fiume Sacco. Due sentenze che faranno scuola. La prima riguarda la Acs Dobfar che ha ottenuto l'annullamento del decreto ministeriale 321 del 2016 «nella sola parte in cui esso interessa le aree della ricorrente appellante», aree interessate alla pe-rimetrazione del Sin. «Nel riesaminare l'affare - ha scritto il Consiglio di Stato - l'amministrazione dovrà verificare, attraverso corretta e completa istruttoria che faccia specifica applicazione dei criteri» di legge e tenga conto «delle osservazioni della parte, se quanto ai terreni... si possa dire verificata una situazione equivalente alla verificazione di un evento contaminante, dare conto degli esiti in una congrua motivazione e, solo in caso in cui la situazione si possa dire secondo logica verificata, includere i terreni stessi nel perimetro del Sin».
L'altra sentenza, invece, riguarda la Secosvim che ha acquistato a Colleferro un complesso industriale in passato appartenuto alla Bomprini-Parodi-Delfino. La questione riguarda le bonifiche sulle aree dove era intervenuta in precedenza la gestione del Commissario straordinario. La società contestava che «l'inclusione nel Sin comporterebbe un aggravio procedimentale sia per la prosecuzione degli interventi, sia per il rilascio di avvenuta bonifica o dichiusuradel procedimento». Tuttavia, anche in questo caso la perimetrazione del Sin era stata approvata insensosfavorevole alla società che ha impugnato il provvedimento. Il nodo della questione - come evidenziato dal Consiglio di Stato - è «individuare i presupposti i base ai quali un dato terreno va incluso o escluso nel perimetro di un Sin». Partendo dalla giurisprudenza in materia, secondo cui «l'individuazione del Sin» è «sulla base di presupposti inerenti la pericolosità degli inquinanti presenti nonchésulla base dell'impatto ambientale in termini di rischio sanitario ed ecologico. In questo modo, l'inclusione di un terreno nel Sin viene a costituire un vero e proprio vincolo ambientale, del quale si deve tenere conto, ad esempio, nel momento in cui si rilasci un permesso di costruire».
E ancora: «l'inclusione nel Sin - prosegue il Consiglio di Stato con una formula sovrapponibile a quella usata per la Dobfar - non può essere arbitraria, ma richiede di necessità, in applicazione dei criteri di legge, che si spieghi perché l'area è "sospetta", ovvero che si individuino indizi di sufficiente gravità tali da far ritenere, secondo logica, che il terreno stesso sia stato apprezzabilmente interessato dall'evento contaminante che ha giustificato l'istituzione del sito». Da qui la scelta di decidere diversamente i due casi: «sicuramente non è illogico comprendere nel Sin le aree della ricorrente appellante, che già erano state inserite, senza che all'epoca sorgesse alcuna contestazione nel perimento delle aree che già il Commissario straordinario avrebbe dovuto bonificare. Con tutta evidenza, infatti, ciò rappresenta un sufficiente indizio per considerarle aree "sospette"». Nello specifico per la mancanza «di un certificato di avvenuta bonifica... la qualifica di "sospette" delle aree in questione (a Colleferro, ndr) rimane intatta».
Diversamente da quanto fatto per il caso della Dobfar. La motivazione di primo grado, contenuta alla risposta all'impresa, che ha prodotto le analisi a dimostrazione che i terreni non sono contaminati, «è quindi insufficiente, perché dà per scontato quanto invece si doveva dimostrare, ovvero che si trattava di aree "sospette", proprio perché tali da assoggettare a più approfondite indagini». E ancora meglio il Tar avrebbe «dovuto spiegare per quali ragioni, pur in presenza degli elementi contrari rappresentati dalle indagini di parte, riteneva ugualmente le aree "sospette" di contaminazione». Una posizione, tesa a ribadire la non contaminazione dei terreni, emersa in occasione del recente convegno organizzato da Unindustria alla presenza dell'Arpa Lazio per presentare i primi risultati sulle analisi dei terreni. L'Arpa aveva rilevato che la situazione esterna al Sin èidenticaaquella internaeidati, sui 150 campioni analizzati, sono sovrapponibili e coincidenti. Non a caso Unindustria da tempo chiede la riperimetrazione del Sin. Una posizione che, alla luce delle pronunce del Consiglio di Stato si rafforza.
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