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Frosinone

La “spaccata” torna in tribunale dopo 25 anni per l’appello

Spaccio di cocaina e hashish al Casermone per fatti del 2000 e del 2001, oggi si discute l’appello. In primo grado 16 condanne con pene tra i 5 e i 4 anni. E ora incombe il rischio della prescrizione

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Il tribunale di Frosinone

La sentenza di primo grado porta la data del penultimo dell’anno 2013. Quindi gli avvocati dei 16 condannati avevano presentato appello. Mai avrebbero pensato che il processo di secondo sarebbe stato fissato a distanza di 25 anni dai fatti contestati. L’operazione antidroga “Spaccata”, condotta a Frosinone da carabinieri e polizia al Casermone, riguarda episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, cocaina e hashish, che vanno dall’estate del 2000 al marzo del 2021, periodo nel quale è terminato l’ascolto delle conversazioni intercettate. Per quegli episodi, il giudice monocratico del tribunale di Frosinone, dopo che il pm aveva richiesto pene fino a otto anni di reclusione, aveva inflitto una condanna a 5 anni, quattro condanne a 4 anni e 10 mesi, tre condanne a 4 anni e mezzo e otto a 4 anni. Più alcune assoluzioni, mentre altri imputati avevano scelto altre strade.

Eppure, dopo tutti questi anni, con la prescrizione che incombe veloce, la giustizia ha battuto un colpo. L’anno scorso, di questi tempi, veniva fissata una prima udienza d’appello, calendarizzata a ottobre, che poi è slittata a oggi. Quando il caso, a 11 anni e mezzo, dalla sentenza tornerà in aula. Il processo aveva riguardato 26 persone, assistite dagli avvocati Giampiero Vellucci, Roberto Filardi, Nicola Ottaviani, Enrico Pavia, Pietro Pomanti ed Emanuele Carbone. Tra il 2003 e il 2004 si era svolta l’udienza preliminare. Quindi a fine 2005, dopo una serie di udienze saltate per vizi procedurali, veniva aperto il dibattimento. Il processo proseguiva così tra udienze dedicate all’ascolto dei testimoni dell’accusa e rinvii per legittimi impedimenti, ma anche a causa della mancata presentazione in aula di diversi testi per i quali è stato necessario l’accompagnamento coattivo. Il pm formulava le conclusioni a settembre 2012 e, dopo altri rinvii e le discussioni delle difese si arrivava al 30 dicembre con la lettura del dispositivo e, quindi, a giugno dell’anno successivo, con il deposito delle motivazioni.

L’inchiesta era nata da un altro procedimento, sempre per spaccio di droga ma anche per spendita di dollari americani falsi. Dalle indagini, le forze dell’ordine erano risalite ai canali di approvvigionamento dello stupefacente, per cui erano state autorizzate le intercettazioni. Il linguaggio a volte era criptico con l’uso di termine quali macchina o pallone per dissimulare la reale attività degli scambi. Ma in altre conversazioni gli ordini erano talmente espliciti che uno dei capi si era affrettato a suggerire di stare attenti al telefono. Tuttavia, anche quando era usato un linguaggio convenzionale è emerso - si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado - come non «si specifichi mai quale sia il veicolo di cui si sta parlando, quali siano le caratteristiche» di cui si discute. Altrettanto «improbabili» gli «acquirenti delle diverse “vetture”, vendute ad ogni ora del giorno e della notte», che «non si interessano mai di sapere quale sia la macchina che acquistano». Due i gruppi sui quali si è concentrata l’attenzione. Al processo è emersa, da una parte, una struttura verticistica con un chiaro leader, chiamato dagli altri “capo” o “principale” ma anche una certa autonomia gestionale degli imputati che acquistavano e poi rivendevano lo stupefacente. La base, comunque, era nella cosiddetta spaccata del Casermone. Nel corso dell’operazione erano stati eseguiti arresti nel capoluogo, ma anche fuori regione, in Campania e Toscana.

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