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Frosinone

Violenze sessuali nella Rsa: condanna confermata

Confermati 3 anni e 3 mesi al degente della Rsa per aver molestato sessualmente tre pazienti. La decisione della Corte d’appello a carico dell’uomo accusato di introdursi nelle stanze delle donne

Violenze sessuali nella Rsa: condanna confermata

La Corte d’appello dio Roma ha confermato la condanna per le violenze sessuali

Violenze sessuali nella Rsa, condanna confermata in appello.
E.R., 64 anni, era nella struttura sanitaria per scontare una pena in detenzione domiciliare, sempre per reati sessuali. E, infatti, gli è stata contestata la recidiva. L’uomo avrebbe approfittato dello stato di minorazione fisica, psichica e sensoriale per il quale le donne erano anch’esse ricoverate.
La Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna inflittagli dal tribunale di Frosinone a tre anni e tre mesi e a 5.000 euro di provvisionale per ciascuna delle parti civili, costituite con l’avvocato Giovanna Liburdi, e rappresentate dal curatore speciale, avvocato Silvia Latini.

Delle tre vittime ospitate nella Rsa, originarie di Boville Ernica, Torrice e Colleferro, una è deceduta nel corso delle indagini. Le donne, come contestato dalla procura di Frosinone, per le particolari condizioni in cui erano costrette per motivi di salute, non erano in grado di opporre resistenza alle aggressioni sessuali.
L’inchiesta è nata su segnalazione del responsabile della struttura sanitaria che ha raccolto una serie di testimonianze, di altri pazienti e del personale sanitario in servizio, sui comportamenti poi finiti al centro delle indagini che la procura ha delegato ai carabinieri. Nel processo di primo grado il tribunale aveva raccolto le testimonianze dei carabinieri nonché dei responsabili e dei dipendenti della struttura sanitaria.

Il primo fatto contestato a carico dell’imputato è risalente al 22 agosto del 2020. Nella circostanza è accusato di essersi introdotto nella stanza di una donna, colpita da ictus, e di averle infilato la mano sotto le vesti, toccandole le parti intime per poi prenderla e trascinarla per le gambe con l’intento di strusciarsi sulla malcapitata. Per la repentinità dei gesti e lo stato di salute, la donna non avrebbe avuto margine di reazione.
Sempre ad agosto di cinque anni fa, l’uomo è finito nel mirino della procura per aver infilato la mano sotto la camicia da notte di un’altra degente, affetta da sclerosi multipla e tetraplegia. Nonostante la richiesta di lei di essere lasciata in pace, le avrebbe toccato insistentemente le parti intime. Anche in questo caso, l’uomo avrebbe approfittato della condizione di inferiorità fisica e psichica della donna. In più la repentinità del gesto, come nell’altra occasione, avrebbe impedito alla vittima di sottrarsi all’aggressione sessuale.

Tra dicembre 2019 e agosto 2020 si sarebbero verificati i fatti oggetto della terza imputazione. Il degente avrebbe avvicinato una donna affetta da sindrome di down con deficit cognitivo per poi infilarle la mano sotto la maglietta e palpeggiarla ripetutamente sul seno. Quindi, sempre secondo le accuse, in un’altra circostanza, «con violenza consistita nella repentinità dei gesti che non consentivano alla vittima margine di reazione» la costringeva a subire atti sessuali consistiti nell’infilare la mano sotto i vestiti della donna e palpeggiarla ripetutamente».
Nel corso del processo di primo grado un’infermiera ha raccontato: «Mentre stavo uscendo dalla cucina, ho notato l’imputato mettere le mani nei pantaloni di una paziente». E così la donna ha subito avvertito le colleghe in modo da tenere sotto controllo l’uomo.

Una operatrice socio-sanitaria aveva descritto E.R. «entrare in una stanza con tre donne. Abbiamo visto che infilava la mano sotto le coperte, nelle parti intime. Lei non si può difendere, noi dobbiamo fare tutto alla signora. Lo abbiamo cacciato dalla stanza e riferito l’accaduto alle colleghe. Noi l’abbiamo visto in tempo, non penso sia riuscito a fare nulla».
Un’altra infermiera era stata piuttosto esplicita nella rappresentazione della scena davanti ai magistrati: «Io l’ho preso in flagranza. Nel corridoio l’ho visto mettere le mani sotto la maglia di una signora».
Una seconda Oss aveva raccontato ai giudici: «Infilava la mano sotto le lenzuola, verso le parti intime su una paziente che ha un’emiparesi e nemmeno parla. La tirava per le gambe verso il suo organo e si strusciava. Subito l’abbiamo bloccato».
Un’altra testimone aveva descritto le stesse scene: «L’ho visto infilare una mano sotto la camicia da notte della signora. Iniziai a strillare e arrivarono altre persone. Lei che poteva difendersi solo con la voce diceva “Lasciami stare, che mi fai?” mentre lui “Io come uomo non ti piaccio nemmeno un po’”».

Un’altra ha raccontato: «Sono state diverse occasioni. È stato comunque segnalato al medico e alla caposala per tenerlo d’occhio. Le pazienti più in pericoli le mettevamo in posti in vista in modo da poterle controllare meglio».
E, infatti, a seguito delle segnalazioni effettuate dal personale, soprattutto femminile, l’uomo avrebbe preso di mira le operatrici - come dalle stesse raccontato al processo - con minacce e apprezzamenti spinti, tanto che più di qualcuna ha cominciato ad avere paura dell’uomo.
Nel corso del processo si è costituita parte civile anche l’associazione, “Insieme per Marianna”, rappresentata dall’avvocato Antonella Liberatori. L’uomo, invece, è stato difeso dall’avvocato Giulia Giacinti. Che ora dovrà valutare se ricorrere in Cassazione.

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