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Il ricordo

Chiara Amirante: «Papa Francesco lascia un’eredità immensa»

Il 24 settembre del 2019 la visita privata del pontefice a Cittadella Cielo, nella sede di Nuovi Orizzonti. Per anni è stato un pastore, una guida straordinaria per la fondatrice dell’associazione

papa francesco e chiara amirante

Papa Francesco e Chiara Amirante

È il 24 settembre del 2019 quando Papa Francesco, alle 9, fa il suo ingresso a Cittadella Cielo, nella sede centrale dell’associazione Nuovi Orizzonti, a Frosinone, la comunità fondata nel 1993 da Chiara Amirante. È stata la seconda e ultima visita (seppur in forma privata) di Bergoglio in Ciociaria. Abbiamo raccolto il ricordo di Chiara Amirante.

Qual è stata la sua prima sensazione quando ha saputo della morte di Papa Francesco?
««Un grandissimo dolore, una fitta al cuore. È stato come sentire il cuore trafitto da una lancia. Per quanto avessi cercato di prepararmi a questa notizia, non si è mai davvero pronti. Tanto più che Papa Francesco è stato un uomo unico, un pastore meraviglioso, un Papa santo. Per me, personalmente, è stato molto di più. Un Papa che, con immensa tenerezza, ha saputo accompagnarmi nei momenti più delicati e difficili che ho vissuto alla guida dell’Opera di Nuovi Orizzonti. È un dolore indicibile. Eppure, insieme a questo dolore, sento un profondissimo senso di gratitudine per ciò che ci ha donato in questi anni e per l’immensa grazia di aver vissuto con lui una comunione così intensa».

Quale eredità lascia ai cattolici e alla Chiesa?
«Papa Francesco lascia un’eredità immensa, viva e destinata a fecondare la Chiesa per molte generazioni. Ci ha lasciato l’esempio di una fede concreta, fatta di gesti, prossimità e misericordia. Ha incarnato il Vangelo nella sua forma più autentica, portandolo nelle periferie, nelle fragilità, tra i poveri, gli scartati, gli ultimi. Con lui, la Chiesa è tornata ad avere il volto di madre, capace di accogliere, ascoltare, abbracciare senza giudicare. Ha saputo scuotere le coscienze, chiamandoci a una conversione personale e comunitaria, a una Chiesa meno autoreferenziale e più aperta al mondo, più attenta allo Spirito che soffia anche fuori dai confini visibili. Ci ha insegnato che la vera forza del cristianesimo sta nell’umiltà, nella tenerezza, nel servizio. E ci ha ricordato, con la sua stessa vita, che la santità non è perfezione, ma amore vissuto ogni giorno, anche tra mille fragilità. La sua eredità è il Vangelo vissuto. È una Chiesa che sogna in grande, ma che parte sempre dagli ultimi. È una testimonianza che ci interpella, che ci spinge a non restare fermi, ma a camminare. Con lui, abbiamo imparato che ogni cristiano è chiamato a essere portatore di luce, di pace, di speranza».

Qualche anno fa è stato a Frosinone per una visita in forma privata...
«Fu proprio Papa Francesco a proporci una visita alla Cittadella Cielo, esprimendo il desiderio di trascorrere una giornata insieme ai ragazzi accolti. Giovani che provengono da storie di grave disagio e che stanno vivendo un percorso di formazione e volontariato internazionale, con il sogno di diventare, a loro volta, strumenti di speranza per tanti altri. Quando ci fece questa proposta, ci colse davvero di sorpresa. Accogliemmo la notizia con una gioia immensa. La giornata vissuta con lui, in un clima di famiglia, è stata qualcosa di straordinario. Un’esperienza che ha toccato profondamente i nostri cuori e che ha reso ancora più forte e intenso quel legame speciale che, fin dal primo incontro, abbiamo percepito come un autentico dono di grazia».

Quando ha incontrato per la prima volta Francesco?
«Il mio primo incontro personale con Papa Francesco risale ormai a molti anni fa. È stato il primo di una lunga serie. Ho avuto davvero la grazia straordinaria di poter trovare in lui non solo un Papa, un pastore, una guida straordinaria, ma anche una figura paterna che mi ha accompagnato in momenti delicati della mia vita e in decisioni importanti legate alla famiglia di Nuovi Orizzonti».

Ha qualche ricordo o aneddoto particolare su Bergoglio?
«Mi ha sempre colpito il suo straordinario senso dell’umorismo e la capacità di scherzare su qualsiasi cosa, anche su quelle più serie o dolorose. Aveva sempre una battuta pronta, sempre con quella leggerezza che non ferisce, ma che apre il cuore. Ricordo un episodio in particolare, avvenuto poco dopo le feste di Natale. Alla fine di un nostro colloquio, con tono molto serio, mi disse: “Chiara, guarda, c’è una persona che è sola e avrebbe bisogno di essere accolta in comunità. Non so se te la sentiresti… ma se te la senti, ora te la faccio conoscere”. E poi mi portò davanti all’albero di Natale, dove era appesa una bambolina di una befanella che, se toccata, parlava! Siamo scoppiati a ridere. Avevo intuito dal suo tono che si trattava di uno scherzo, ma non immaginavo che avrebbe tirato fuori una befana parlante! È stato un momento davvero divertente. Al di là di questi episodi simpatici, ciò che mi ha sempre colpito profondamente è il suo modo di usare l’ironia con delicatezza, come una forma di saggezza. Gli chiedevo spesso: “Ma come fai a mantenerti in salute con i ritmi incredibili che hai?” E lui, sorridendo, mi rispondeva: “Uno, perché ho un buon sonno. E due, perché ho l’autoironia”. Più volte ha citato anche la preghiera di Thomas More in cui si chiede a Dio il dono dell’umorismo. E davvero, fino all’ultimo, non gli sono mai mancati né il sorriso né una lucidità straordinaria».

Cosa le rimarrà del suo rapporto con lui e del suo Magistero?
«Parlare del rapporto con lui è difficile. Quando si sperimenta una comunione così profonda in Dio con qualcuno – e quel qualcuno è il Papa – ci si trova davanti a un dono unico, uno di quei tesori che restano custoditi per sempre nello scrigno più prezioso della vita. La cosa meravigliosa, nonostante il dolore profondo per la sua salita al cielo, è che quando una comunione è così radicata in Dio, nulla può spezzarla: né la morte, né il tempo, né la distanza. Rimane indelebile. Resta, oltre ogni confine terreno. E oggi, forse ancora più di prima, sento viva questa comunione. Sento il suo accompagnamento dal cielo, come padre, come papà. Mi ha colpito profondamente anche il suo magistero. Sarebbe impossibile racchiuderlo in poche parole, tante sono le perle che ci ha donato. Ma tra tutte, certamente Evangelii Gaudium ha segnato l’inizio del suo pontificato con una forza profetica straordinaria: il Vangelo della Gioia. Quel richiamo forte e chiaro alla necessità di essere una Chiesa “in uscita”. Questo messaggio ha trovato subito una risonanza particolare con la nostra vocazione nei Nuovi Orizzonti: testimoniare la gioia di Cristo risorto, portare luce nelle periferie esistenziali, là dove il dolore è più forte e il grido dell’umanità spesso resta inascoltato. Sono infinite le cose che porterò nel cuore. Ma, più di tutto, la sua capacità di tenerezza, di misericordia, di pace. Il suo essere, insieme, un gigante di umanità e di santità. Una luce unica di speranza in un tempo così carico di oscurità».

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