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La storia

Tommaso Pizzuti, catturato dai tedeschi e poi internato nei lager. L’ultimo dei sopravvissuti

Classe 1918, è stato catturato dai tedeschi e poi internato nei lager. Il freddo, la fame, le violenze: per due anni ha vissuto nel campo di Hemer

Tommaso Pizzuti, catturato dai tedeschi e poi internato nei lager. L’ultimo dei sopravvissuti

Tommaso Pizzuti

«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre», scriveva Primo Levi nel suo celebre saggio “I sommersi e i salvati”. E proprio perché conoscere è necessario, non può sfuggirci la straordinaria storia di Tommaso Pizzuti, l’ultracentenario sopravvissuto ai lager nazisti.

Classe 1918, di Ceccano, 107 anni da compiere il prossimo 9 maggio, Tommaso ha tre figli, Giovanni, Giuseppina e Giacomino, sei nipoti e cinque pronipoti. Sua moglie Angela è venuta a mancare ventiquattro anni fa. Tommaso ha svolto la professione di carpentiere a Roma prima, e di ferroviere poi. Ma facciamo un passo indietro. Al suo passato, che non può e non deve essere dimenticato, e che fa ancora male nei ricordi. Sì, perché Tommaso è tra gli ultimi sopravvissuti degli oltre 650.000 militari italiani catturati dai tedeschi e poi internati nei lager nazisti nel corso della seconda guerra mondiale. Fu deportato per circa due anni nello “Stalag VI A” di Hemer, in Germania.

Ha catturato la nostra attenzione lo scorso 27 gennaio quando, all’istituto superiore “Bragaglia” di Frosinone, in occasione della cerimonia commemorativa “Giorno della memoria 2025 – Il dovere di ricordare” è stato insignito, assieme ad altri quarantaquattro, della medaglia d’onore concessa ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra, nonché ai familiari dei deceduti.

E così abbiamo deciso di conoscere meglio la sua storia. Ad accoglierci, commossa, è sua figlia Giuseppina. È lei che si fa portavoce della sua storia. Mentre lo fa mangiare, ci racconta aneddoti che lui è solito narrare. «Dove andavano a dormire, mio padre stava con i polacchi, e si trovava molto bene con loro, perché dice che erano particolarmente affabili. Una volta ha avuto la febbre altissima, un caporale tedesco è entrato e questo signore polacco l’ha distratto, per non fargli capire che papà avesse la febbre, altrimenti lo avrebbero ucciso».

E poi un ricordo che è stato impossibile dimenticare: «Spesso ai prigionieri non davano da mangiare. Una notte, sopraffatto dai morsi della fame, è andato a rubare un po’ di patate in un vagone merci. Peccato che sia stato visto dai tedeschi, che lo hanno preso e tenuto in una cisterna al buio per tantissimi giorni per punirlo. Come se non bastasse, con la corrente elettrica gli davano le scariche sulle orecchie».

La voce di Giuseppina improvvisamente si incrina per la commozione, nel raccontare le sevizie subite da suo padre. Poi si fa coraggio e continua: «I tedeschi non davano i vestiti. Con gli abiti ormai divenuti stracci con cui erano arrivati dall’Albania, continuavano a stare. E allora, quando moriva qualcuno, andavano a prendersi le scarpe, le giacche di quelli che erano morti. C’era la neve, era freddo».
Mentre parliamo, Tommaso ha vicino a sé la medaglia di cui è stato insignito. Giuseppina continua con un altro aneddoto, ancora: «Facevano le docce, nudi, fuori, in mezzo alla neve, all’aperto. Papà dice sempre che la guerra è la cosa più brutta che c’è, ne parla con orrore».

Giuseppina sottolinea come suo padre, fino ad un certo punto della sua vita, non avesse mai raccontato ai figli ciò che aveva sofferto all’interno del lager, quasi per dimenticare le violenze che aveva vissuto sulla propria pelle, ma che poi, attorno ai novant’anni circa, ha cominciato improvvisamente a raccontarsi. A un certo punto, mentre sta mangiando, Tommaso esordisce chiedendo un bicchierino di vino. Ci strappa un sorriso. Per sdrammatizzare, chiudiamo con i racconti sul lager e cambiamo discorso.

Chiediamo a Giuseppina qual è il segreto della longevità di suo padre... «Papà è stata una persona sempre attiva, non si è mai fermato, non ha avuto mai la macchina, non ha mai guidato, soltanto la bicicletta aveva. E poi lui, che era ferroviere, amava viaggiare con il treno». La conversazione giunge al termine, stiamo andando via, quando Tommaso dice: «Io non voglio stare più seduto su questa poltrona, mi sono stancato...». E così Tommaso ci strappa un altro sorriso, prima di salutarci. Quel dolore che ha deciso di raccontare è ancora nei suoi occhi. Occhi che, nonostante l’orrore della guerra, lasciano intravedere la speranza...

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