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Il delitto di Arce

Serena Mollicone lasciata morire come Marco Vannini

I pg mettono a confronto i due omicidi. Confermate le richieste di pena per i Mottola. Per Suprano 4 anni

serena mollicone

Serena Mollicone come Marco Vannini. Lasciata morire come lui, senza che nessuno intervenisse. Un passaggio durissimo, quello affrontato dai pg Landolfi e Piantoni, in realtà già contenuto nella memoria conclusiva depositata lo scorso 21 giugno. Ma centrale pure nella lunga requisitoria di ieri, al termine della quale sono state ribadite le richieste di pena: 24 anni di reclusione per l’ex comandante della caserma di Arce Franco Mottola, 22 per la moglie Anna Maria e per il figlio Marco. Assoluzione per Vincenzo Quatrale e una richiesta a quattro anni per Francesco Suprano, dopo la rinuncia alla prescrizione.

Un confronto tra le due vicende giudiziarie - l’omicidio di Serena Mollicone e quello di Marco Vannini - già fatto in primo grado nella requisitoria dei pm Siravo e Fusco. Ripreso nei motivi d’appello, poi nella memoria conclusiva dei pg e ieri riportato in aula con grande forza, richiamando «l’obbligo di garanzia e di protezione dei titolari dell’abitazione nei confronti di persone da loro ospitate che si trovino in pericolo di vita». Ecco il richiamo giurisprudenziale alla vicenda relativa alla morte di Marco Vannini, avvenuta a Ladispoli nel maggio del 2015. Per il delitto Vannini, tutta la famiglia Ciontoli è stata condannata in via definitiva: omicidio con dolo eventuale è il reato per cui Ciontoli padre (militare prima della Marina, poi dei servizi segreti) è stato riconosciuto colpevole; al resto della famiglia è stato dato il concorso anomalo. Ripercorrendo la vicenda Vannini, i pg della Corte d’assise d’appello già nella memoria conclusiva avevano sottolineato: «La situazione pare sovrapponibile a quella che si è verificata a casa Mottola». E che «i genitori e lo stesso Marco avevano l’obbligo di garanzia di prestare i soccorsi alla ragazza. E non è stato fatto».

Per i pg Franco Mottola sarebbe stata la persona che «ha tenuto il comportamento più grave, perché era il comandante della stazione dei carabinieri e avrebbe dovuto prendere per primo le iniziative per evitare che la ragazza morisse» puntella la dottoressa Landolfi. Che poi aggiunge: «Per Marco e sua madre chiediamo 22 anni di reclusione, una pena un po’ più alta del minimo edittale, vista la gravità della situazione. Inoltre tutti e tre non hanno mai ammesso le loro responsabilità né collaborato». «Abbiamo valutato la possibilità che la condotta sia stata posta in essere solo da due componenti della famiglia e che il terzo si sia “limitato” ad assistere» ha aggiunto il pg, parlando di «imbavagliamento come condotta omicidiaria» e poi del trasporto, per il quale «era necessaria la collaborazione di due persone». «In ogni caso la terza persona dovrà rispondere di omicidio con condotta omissiva - aggiunge - perché non ha fatto nulla per salvare Serena». Quindi i procuratori generali hanno chiesto l’assoluzione per Vincenzo Quatrale e quattro anni per Francesco Suprano (per favoreggiamento), dopo la rinuncia alla prescrizione.

La difesa di Suprano
Proprio la difesa dell’appuntato Francesco Suprano - rappresentato dagli avvocati Cinzia Mancini ed Emiliano Germani - ha rilanciato: «Giudici, spezzate questa catena e andiamo a cercare i responsabili di questo omicidio, evitando di far passare a persone come Francesco Suprano tutto quello che hanno dovuto subire in questi anni. Suprano andrebbe assolto perché il fatto non sussiste e non perché il fatto non costituisce reato». «Suprano ha consegnato la porta così come era, avrebbe potuto dargli una martellata e alterarla» prosegue l’avvocato Mancini che, dopo aver ripercorso le eccezioni preliminari, si è soffermata «sull’inattendibilità delle dichiarazioni di Evangelista». Mentre l’avvocato Germani si è occupato di Tuzi, che «ha sempre escluso di aver parlato con Suprano». Entrambi hanno chiesto «giustizia per Serena, che non verrà fatta se si dovesse condannare un innocente». L’avvocato Francesco Candido, difensore del luogotenente Vincenzo Quatrale insieme all’avvocato Paolo D’Arpino, hanno chiesto per il loro assistito un’assoluzione piena «ai sensi del primo comma dell’articolo 530».

Mottola: macchina del fango
A iniziare la discussione per la famiglia Mottola (che proseguirà domani) è stato l’avvocato Enrico Meta, difensore dell’ex comandante di Arce. «Chiedo che Franco Mottola venga assolto per non aver commesso il fatto» ha esordito nella sua arringa. «I Mottola prima del processo erano in un limbo. Ma in realtà vivevano un inferno da anni. Tutto ciò consapevoli di essere innocenti. Poi c’è stata la sentenza di assoluzione, anche se lo stesso giorno sono stati oggetto di una vile aggressione, frutto della macchina del fango che si era attivata nei loro confronti. Siamo qui per rendere giustizia a Serena ma anche agli imputati che hanno subito la macchina del fango» afferma. Poi ripercorre la giornata in cui Serena sarebbe stata uccisa, secondo l’accusa, in caserma: impossibile per la difesa. «Mentre in caserma al piano di sopra si consumava la tragedia, al piano di sotto come era possibile che si svolgesse un’attività normale?». Ancora: «Non c’è un momento di discontinuità tra tutte le attività svolte tale da garantire il caricamento, ad esempio, in macchina del corpo». E rilancia: «Per anni si è fatta un’illazione parlando del fatto che Franco Mottola avesse prelevato Guglielmo durante la veglia funebre di sua iniziativa. Come è possibile che questa attività posta in essere su indicazione dell’autorità giudiziaria possa essere stata posta a carico del maresciallo Mottola per tutto questo tempo?».

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