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La situazione

Il 7% delle famiglie rinuncia a curarsi. E aumenta la spesa

I dati sono del 2022. In dodici mesi è cresciuta invece la spesa annuale: vuol dire che ci sono stati rincari notevoli. Lo studio del Gimbe

visita medica

Il 6,9% delle famiglie laziali ha rinunciato alle prestazioni sanitarie. Una percentuale in linea con quella nazionale (7%). Il dato è riferito al 2022: lo studio diffuso dalla Fondazione Gimbe riguarda la spesa cosiddetta “out of pocket”, quella che le famiglie devono sostenere per pagarsi le cure. Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha spiegato: «Considerato il rilevante impatto sui bilanci familiari della spesa sanitaria “out of pocket” e tenuto conto di un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e dall’aumento della povertà assoluta, abbiamo analizzato vari indicatori per misurare le dimensioni di questo preoccupante fenomeno, utilizzando esclusivamente i dati pubblicati da Istat. L’obiettivo è quello di fornire una base oggettiva per il dibattito pubblico e le decisioni politiche, oltre che prevenire strumentalizzazioni basate sull’enfasi posta sui singoli dati».

C’è un altro dato da considerare, riguardante la spesa annuale delle famiglie per la salute (sempre dati Istat): nel Lazio era di 1.414,68 euro nel 2021, poi passata nel 2022 a quota 1.527,96 euro. Un aumento dell’8%, quantificabile in 113 euro in più rispetto all’anno precedente. Significa che nel Lazio ci sono stati rincari non indifferenti, visto che nello stesso periodo preso in considerazione è diminuita la percentuale delle famiglie che ha deciso di “investire” in prestazioni sanitarie. Parliamo di accertamenti, di visite, di acquisto di medicinali. Ha affermato Cartabellotta: «L’interpretazione dei dati regionali non è univoca perché la spesa delle famiglie per la salute è influenzata da numerose variabili: la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari pubblici, la capacità di spesa delle famiglie, il consumismo sanitario e, in misura minore, l’eventuale rimborso della spesa da parte di assicurazioni e fondi sanitari». Per il presidente del Gimbe «la spesa “out of pocket” non è un indicatore affidabile per valutare la riduzione delle tutele pubbliche». Ha aggiunto: «Di conseguenza lasciare che il dibattito pubblico si concentri solo su questo dato restituisce un quadro distorto della realtà, sia perché alcune famiglie spendono per servizi e prestazioni inutili, sia perché altre non riescono a spendere per bisogni reali di salute a causa di difficoltà economiche».

In linea con i dati del Centro Sud, nel Lazio il 3,1% delle famiglie non riesce, in alcuni periodi dell’anno, a fronteggiare le spese relative alle patologie delle quali sono affette. Sempre Cartabellotta ha argomentato: «È evidente che l’aumento del numero di famiglie che vivono sotto la soglia della povertà assoluta avrà un impatto residuale sulla spesa “out of pocket”, ma aumenterà la rinuncia alle cure, condizionando il peggioramento della salute e la riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese». Perché è fin troppo evidente la rinuncia alle cure produrrà diversi effetti: così è più difficile effettuare delle diagnosi precoci. Inoltre, nel medio e lungo periodo sul Sistema sanitario graverà un numero maggiore di pazienti malati. Secondo Cartabellotta si deve fare riferimento ad «un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e dall’aumento della povertà assoluta».

Ancora: «Lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà, non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno». Fatto sta che la crisi economica, l’aumento dell’inflazione, la crescita dei costi dell’energia e delle materie prime sono fattori che si sono inseriti dopo la fase acuta della pandemia da Covid-19. Tra gli effetti di questa situazione il fatto che molte famiglie si sono trovate nella condizioni di dover risparmiare sulla spesa sanitaria.

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