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L'inchiesta

Sparatoria in via Aldo Moro. Autopsia e telefonini per scoprire la verità

Ieri eseguito l'esame sul corpo di Kasem Kasmi. Accertamenti su tre cellulari alla ricerca del movente del delitto

Sparatoria in via Aldo Moro. Autopsia e telefonini per scoprire la verità

Polizia e ambulanze sul luogo della sparatoria sabato scorso

Sessanta giorni per depositare i risultati dell'autopsia sul corpo di Kasem Kasmi. È il tempo che il medico legale Fabio Di Giorgio avrà per stabilire le cause della morte del ventisettenne albanese, colpito insieme al fratello e a un'altra coppia di fratelli sabato sera, allo Shake bar. Per questo fatto, la squadra mobile di Frosinone ha arrestato con l'accusa di omicidio volontario e triplice tentato omicidio il connazionale della vittima, il ventitreenne Mikea Zaka. Quest'ultimo, ormai braccato dalla polizia e senza via di scampo, considerato anche che l'intera scena era stata ripresa dalle telecamere di videosorveglianza, si era presentato in questura la stessa sera di sabato. E da allora è agli arresti.

Sempre ieri, la procura di Frosinone – a coordinare le indagini è il sostituto Samuel Amari – ha conferito l'incarico a un informatico per le copie forensi dei tre telefonini sequestrati al gruppo di albanesi presenti quella sera. Zaka, invece, il telefono non lo aveva.
I risultati dell'autopsia serviranno a definire meglio la dinamica della sparatoria. Per capire con quanti colpi sono stati sparati contro Kasmi – da una prima ricostruzione sarebbero tre – e quali di questi è stato il colpo mortale. Tanto più che dal video si sentono esplodere più colpi, sette, di cui l'ultimo a distanza di diversi secondi dal sesto. L'ipotesi investigativa è che possa essere stato indirizzato contro Kasmi per avere la certezza di ucciderlo.

Dai telefonini, invece, potrebbero arrivare utili elementi per stabilire il contesto nel quale è maturata la sparatoria. Se tra i due gruppi c'erano stati precedenti contrasti o se si erano dati appuntamento in quel bar. Il sospetto degli investigatori della squadra mobile frusinate, diretta dal vice questore Flavio Genovesi, è che i quattro stessero cercando Zaka. Resta il fatto che, non appena entrati nel locale, dopo aver lasciato l'auto, una Lancia Ypsilon presa a noleggio, parcheggiata vicino e con il motore acceso (altro elemento non trascurabile), i quattro, in fila indiana, si sono subito scontrati con il gruppo di Zaka, composto da cinque persone, già presente nel locale nella zona del dehor. Quasi all'istante Zaka ha estratto l'arma e ha fatto fuoco, uccidendo Kasmi e ferendo gli altri tre, di cui un altro in modo serio.

Una reazione particolarmente violenta che ha spiazzato tutti e per la quale gli investigatori stanno cercando di trovare una spiegazione. Al momento, sulla base di quanto dichiarato da Zaka nel primo interrogatorio (in quello di convalida, lunedì, si è avvalso della facoltà di non rispondere) lo scontro sarebbe riconducibile a una ragazza contesa. Un movente passionale sul quale, però, la procura è intenzionata ad andare fino in fondo, considerato che altre ipotesi, dalla droga alla prostituzione, non sono state ancora completamente escluse. Certo è che dietro a una reazione così sproporzionata si potrebbe nascondere un qualcosa di veramente importante. L'arrestato, che è assistito dall'avvocato Marco Maietta, si è difeso sostenendo di esser stato aggredito dal gruppo di Kasmi e di aver sparato per paura.

Intanto, l'arma del delitto, a lungo cercata dalla polizia con i vigili del fuoco nel fume Cosa nella zona del ponte di via Verdi, non è stata trovata. Ricerche senza esito, anche se sono diversi i dubbi che Zaka, come dichiarato dallo stesso sabato notte, l'abbia effettivamente lanciata da lì. Solo che, per non lasciare nulla d'intentato, si è cercato ancora.

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