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Il caso

Processo ex Marangoni, si torna davanti al giudice

Nuova udienza del procedimento per disastro ambientale. A rispondere dell'accusa amministratori e dirigenti della società

Processo ex Marangoni, si torna davanti al giudice

Uno scorcio dell'ex stabilimento “Marangoni Tyre” di Anagni al centro del procedimento giudiziario con l'accusa di disastro ambientale

Nuova udienza venerdì 23 febbraio per l'istruttoria del processo a carico della ex "Ceat Pneumatici". Nell'udienza dell'ottobre scorso il giudice Marta Tamburro interrogò numerosi testi, convocati per far luce sulla vicenda all'origine del processo intentato da decine di persone che si sono costituite parte civile.

Il processo per "disastro ambientale, omicidio colposo e lesioni personali gravissime" è a carico di amministratori e direttori della "Marangoni Tyre": Massimo De Alessandri, 56 anni, di Rovereto (recentemente scomparso), ex presidente del cda; Mario Marangoni, 89 anni, di Rovereto, già presidente del cda; Giorgio Italo La Manna, 76 anni, di Barletta, ex consigliere delegato; Gerardo Magale, 71 anni, di Frosinone, ex direttore dell'organizzazione della fabbrica; Gian Luigi Carnevale, 49 anni, di Roma, ex direttore della produzione; Luigi Marco Pucinischi, 56 anni, di Latina, ex responsabile tecnico della società.
Più che della fuoriuscita di fumo che la "Marangoni" non ha mai negato, la vicenda tratta della situazione ambientale in generale, addebitabile non soltanto allo stabilimento ormai ex, ma a tutti gli insediamenti industriali della Valle del Sacco. Come più volte ripetuto dagli esperti che si sono alternati al microfono dell'aula penale.

In molti casi le problematiche ambientali sono riferibili alle emissioni di ogni genere. Leggere di Frosinone capolista dei comuni che producono emissioni nocive, associata a Milano addirittura terza a livello mondiale, deve far riflettere. Da anni i politici di ogni livello hanno trascurato il rispetto di norme da loro stessi emanate. Il Piano regolatore generale della città dei papi prevedeva il divieto di installare talune attività pericolose. Eppure gli opifici che trattano materiali e sostanze pericolose sotto questo profilo sono proliferati. Il risvolto positivo sull'occupazione, sbandierato in ogni contesto, si è rivelato una debole scusa, ed oggi le migliaia di offerte di lavoro puntualmente inevase ne certificano il fallimento.

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