Spazio satira
L'inchiesta
08.02.2024 - 18:00
Il direttore generale e amministratore delegato Rinaldo Scaccia
L'inchiesta della procura di Frosinone che ha coinvolto i vertici della Bpf, un avvocato, due notai e imprenditori nasce da lontano, dal 2020, ma non è ancora finita. Dalla mole di documenti acquisiti dai poliziotti della squadra mobile e dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria, diretti dal vice questore Flavio Genovesi e dal tenente colonnello Diego Morelli, come riporta l'ordinanza di custodia cautelare, potrà consentire di «approfondire ulteriormente e definitivamente le indagini ed acquisire riscontri documentali di quanto già emerso dalle intercettazioni telefoniche e ambientali».
Oppure, come sperano le difese, sin dai primi interrogatori, consentire agli indagati di uscire fuori da questa storia.
Al momento c'è l'ordinanza di custodia cautelare del gip Ida Logoluso che ha disposto il carcere per gli imprenditori Angelo De Santis, 54 anni di Frosinone, nelle vesti anche di operatore finanziario, e Marino Bartoli, 51, di Ceccano e i domiciliari per il direttore generale e amministratore delegato della Banca popolare del Frusinate Rinaldo Scaccia, 76, di Veroli, il notaio in pensione Roberto Labate, 77, di Roma, all'epoca con studio a Sora, l'imprenditore verolano Paolo Baldassarra, 41, l'avvocato del foro di Roma Gennaro Cicatiello, residente a Veroli, 38, inoltre domiciliari a tempo, per due mesi, per il notaio Federico Labate, 47, di Roma, i funzionari Bpf Luca Lazzari (ufficio Corporate), 42, di Roma, e Lino Lunghi (ufficio Fidi), 51, di Pofi dopodiché scatteranno i divieti di dimora in Ciociaria per il primo e a Frosinone città per gli altri due.
L'impostazione della procura, condivisa poi dal gip, è che alla base di tutto ci siano tre associazioni a delinquere: «i tre gruppi - si legge nell'ordinanza - presentano una complessa organizzazione costituita da un rilevantissimo numero di società di capitali (prevalentemente S.r.l.) fittiziamente intestate a terzi partecipi». Scopo di queste società, sostiene l'accusa, era «realizzare comuni operazioni di riciclaggio/autoriciclaggio», porre «in essere condotte fraudolente nei confronti della pubblica amministrazione e dell'erario» e «predisporre bilanci che falsamente rappresentavano il buon andamento delle società al fine di ottenere finanziamento ed aperture di credito rilevanti, per poi operare con condotte di appropriazione, distrattive e dissipative e lasciar fallire le società».
L'accusa distingue tre distinti blocchi: il primo (con i tre della banca, i notai e De Santis) «occupa i vertici della Bpf - scrive il gip - al fine di garantire ai suoi promotori e partecipi la concreta realizzazione di una serie di illeciti arricchimenti operando mediante il finanziamento privilegiato di operazioni, tutte promosse e coordinate da De Santis, per l'acquisizione di immobili pignorati (prevalentemente stabilimenti ex industriali e complessi produttivi dismessi) con partecipazione alle aste giudiziarie di società fittiziamente amministrate da terzi sodali alle quali vengono intestati».
Quanto alla seconda associazione, per l'accusa «appare maggiormente concentrata» sulle «fatture per operazioni inesistenti ed utilizza a tal fine la struttura della Italica costruzioni e le altre numerose strutture societarie riconducibili alla famiglia Baldassarra, tutte collegate tra loro, in una serie volutamente confusa di scambi commerciali». In questo caso sono ipotizzati reati di auto-riciclaggio e intrecci con «società riconducibili a De Santis».
Infine, la terza: «rappresenta il braccio più operativo dell'attività di De Santis - prosegue l'atto d'accusa - coinvolge il suo sodale Bartoli e tutti i numerosi prestanome che offrono i propri servigi al sistema; le società compiono illecite operazioni di cessione di crediti Iva e compensazioni, sulla scorta di false e/o inesistenti fatturazioni e/o dichiarazioni di redditi; cedono falsi crediti d'imposta per bonus fiscali edilizi (bonus facciata) e scambiano fatturazioni per importi rilevanti con le società riconducibili alle altre associazioni».
L'obiettivo dei partecipi, secondo l'accusa, è di «massimizzare i profitti», mentre «tutti i reati scopo - scrive il gip - rimandano alla consapevolezza degli associati di poter godere del complice favore dei vertici della Banca popolare del Frusinate e, da parte di costoro, del notaio Roberto Labate».
L'accusa evidenzia poi «la forzatura dei parametri di valutazione bancaria del rischio (rating), con operazioni pilotate di riassetto dei bilanci aziendali, di variazioni nelle compagini e partecipazioni societarie, così favorendo erogazioni di finanziamenti/mutui nei confronti di società riconducibili al De Santis e a Baldassarra, ovvero "promosse" da De Santis che, secondo normali parametri di valutazione del rischio, mai sarebbero stati concessi».
Tra le mire, si legge tra le carte, «l'interesse per l'operazione di acquisizione di un immobile situato nel principato di Monaco».
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