Spazio satira
La storia
05.02.2024 - 15:00
Un'immagine di Acquafondata
Ben 604 giorni di prigionia, ridotto in stato di schiavitù, costretto ad angherie, percosse, privazioni e umiliazioni, con la paura ogni giorno di essere ucciso. Quando Francesco Pagliaroli venne liberato capì di avere salva la vita, ma portò con sé - ogni giorno - le indicibili sofferenze patite. Ecco il motivo che ha portato suo figlio a presentare un ricorso contro la Repubblica Federale di Germania, quale soggetto di diritto internazionale in continuità giuridica con il Terzo Reich, per i crimini di guerra e contro l'umanità commessi ai danni dell'eroe di Acquafondata - insignito dell'onorificenza della Croce al merito di Guerra - per l'internamento in Germania.
I suoi eredi, rivolgendosi all'avvocato Alessandro Cervelli, presidente dell'associazione "Punto Difesa" - che dal 2021 si batte per difendere cittadini per ogni ingiustizia subita - hanno infatti chiesto di accertare e dichiarare la civile responsabilità della Repubblica Federale di Germania e di condannarla in solido con il ministero dell'Economia e delle Finanze italiano, al pagamento di un risarcimento per i danni subiti.
La storia
Francesco Pagliaroli era inquadrato nel Regio Esercito italiano con il grado di soldato di leva, diventando sergente (dal 20 dicembre del 42) e poi, a fine febbraio del 43, inviato in Balcania - territorio greco albanese - con la 361° brigata costiero mobilitale. Dal 16 marzo 1943 all'8 settembre ha partecipato alle operazioni di guerra. Il 12 settembre del 1943 venne fatto prigioniero di guerra dalle truppe tedesche a Scutari, rimanendo nel campo di detenzione tedesco sino all'8 maggio 1945 quando è stato liberato per essere poi trattenuto dalle forze armate delle Nazioni Unite sino al 14 ottobre dello stesso anno. «La detenzione dell'internato militare italiano Francesco Pagliaroli è avvenuta in condizioni disumane - si legge nel ricorso - lo stesso è stato mantenuto in condizioni di schiavitù, privo di ogni garanzia assicurata dalle convenzioni internazionali, denutrito e in condizioni igieniche inaccettabili. Come tutti i prigionieri dei campi di detenzione, era assiduamente sottoposto ad angherie, percosse, privazioni e umiliazioni, con il rischio di essere ucciso. Il trattamento riservato ai prigionieri italiani – considerati "traditori badogliani" e dunque degradati allo status di meri internati - è fatto notorio addirittura pubblicamente riconosciuto dalla stessa Repubblica Federale Tedesca. Gli storici hanno accertato che arrivati nei campi di detenzione, perquisiti, disinfestati, fotografati e schedati, i soldati italiani venivano infine privati del nome a cui era sostituito un numero; gli stessi venivano disumanizzati, considerati dai loro carcerieri tedeschi "stücke", "pezzi" da sfruttare come forza lavoro per l'economia del Terzo Reich. Per questo di procedeva all'annullamento del loro decoro personale, resi bestie da servigio e come tali trattati. Rientrato a casa, ha sofferto per tutta la sua vita per quanto visto e subito in quei mesi, cercando faticosamente di rimuovere i dolorosi ricordi».
In punta di diritto
La prigionia con riduzione in stato di schiavitù, il trattamento disumano, rientrano de plano fra i crimini contro l'umanità, sostiene l'avvocato Cervelli che si è occupato della vicenda. Nel ricorso viene evidenziato come il trattamento disumano fosse espressamente vietato dalla convenzione Aja del 1907 vigente all'epoca e approvata dalla stessa Germania. «Il diritto del ricorrente non può ritenersi prescritto alla luce della norma di diritto internazionale consuetudinario, formatasi all'inizio degli anni 60, che sancisce la imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità, con particolare e specifico riferimento ai quelli commessi dai nazisti». Sussiste la giurisdizione del giudice nazionale italiano e non vi è immunità dalla giurisdizione (anche civile) per i rappresentanti di un altro Stato per i crimini di guerra o i crimini contro l'umanità commessi dagli stessi sul suolo italiano. Nel caso di specie, tenuto conto che Francesco Pagliaroli (deceduto nel 1994) è stato catturato a settembre del 43 e liberato a maggio del 45, con un periodo di prigionia di 604 giorni, secondo il ragionamento del Tribunale di Treviso il risarcimento per ingiusta detenzione dovrebbe superare i 150.000 euro. Ma, dal momento che la condizione di detenzione non può essere paragonabile alle violenze e ai soprusi vissuti nel campo di prigionia tedesco, la valutazione dovrebbe superare di gran lunga quella cifra, bypassando i 200.000 euro.
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