Spazio satira
La storia
16.01.2024 - 09:09
Sei anni di reclusione per associazione terroristica. Conclude così l'accusa al primo processo per terrorismo internazionale che si celebra a Frosinone, davanti alla Corte d'assise. La contestazione per Fotouh Ibrahim Matar Hatem, egiziano, 38 anni, residente a Colleferro, è di far parte della cosidetta "jihad della penna".
Il pubblico ministero Sergio Colaiocco ricorda che l'ordinanza, eseguita dai carabinieri del Ros (l'imputato ha seguito l'udienza in videoconferenza dal carcere) nasce dalla trasmissione di 71 documenti, tra cui video, a una terza persona. «Non sono documenti neutri», rileva il pm davanti alla corte, presieduta dal giudice Francesco Mancini facendo riferimento a corsi sull'uso delle armi, tra cui kalashnikov e armi biologiche. «Secondo la legge italiana la trasmissione di questo materiale, qualora abbia finalità di terrorismo, costituisce reato e giustifica la misura detentiva - insiste l'accusa - In Italia, in ossequio all'articolo 21 della Costituzione si chiede un quid pluris rispetto alla mera detenzione. Se scarico e leggo non c'è reato. Ma se lo giro ad altri è reato. La procura contesta all'imputato di fare l'addestratore verso una persona generica».
Sull'accusa in sè il pm dichiara: «È un fatto che dall'account dell'imputato è partito l'invio ad altro account Telegram. E oggi (ieri, ndr) lo ha ammesso lui stesso». Il procuratore aggiunto di Roma si riferisce alle dichiarazioni rese in aula dall'imputato, che respinge le accuse. «Solo oggi tira fuori che l'account di destinazione è suo», dice il pm in risposta all'imputato che sostiene di aver ricevuto quei 71 file al lavoro e di esserseli girati per poterli leggere dopo. «Avendo sequestrato più cellulari e monitorato la sua famiglia - chiosa Colaiocco - a nessuno è venuto in mente che il destinatario fosse lui. Mai ha tirato fuori questa cosa».
Per l'accusa sono più invii, in giorni differenti, dal 27 al 29 agosto del 2022: «Video che vengono da fonti qualificate», ovvero dallo Stato islamico. «Che li invia senza avere idea di quello che sono non è logico», insiste l'accusa. Che poi si domanda: «Hatem agiva in sintonia con lo Stato islamico o voleva interessarsi di ciò che accadeva? Non stiamo dicendo che aveva in animo di fare attentati ma di diffondere le finalità dello Stato islamico. La perizia depositata ed esaminata con il prezioso aiuto del Ros indica i passaggi in cui emerge che lui è partecipe. Ci sono intercettazioni ambientali in cui manifesta la volontà di partire. Tutti piccoli indizi che inducono a ritenere che avesse una adesione alla jihad mediatica. Abbiamo gli screenshot intercettati. Non è stata una diffusione occasionale e casuale ma con una finalità ben precisa». Da qui l'alternativa: condannare l'imputato per l'adesione allo Stato islamico o per la diffusione di materiale jihadista.
In precedenza, l'imputato, difeso dall'avvocato Gianluca Vitale, si è fatto interrogare. Intercettazioni alla mano, nega le accuse. Afferma di aver fatto dei post critici dopo l'attentato di Parigi a Charlie Hebdo. «Non ho mai messo in rete materiale sullo stato islamico, l'ho solo ricevuto», chiarisce. Quanto all'intercettazione sull'andare a combattere, l'imputato precisa: «Si capisce che è uno scherzo». Infine, nega di aver mai usato il dark web.
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