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25 novembre

Aggressioni domestiche. Boom dopo il lockdown

In Ciociaria nell'ultimo anno 120 casi con 30 misure cautelari. La psicologa della polizia: «Ma le donne ora sanno che una via d'uscita c'è»

Aggressioni domestiche. Boom dopo il lockdown

Il questore Domenico Condello, tra la psicologa Cristina Pagliarosi e il commissario Giuseppe Joubert FOTO MASSIMO SCACCIA

I colori prima di tutto. Il rosso del codice rosso che viene applicato per accelerare la tutela nei casi di violenze, stalking e maltrattamenti, il verde della green room, la stanza della questura che accoglie le vittime e anche i loro figli in un ambiente decisamente più confortevole di un'asettica stanza di un palazzo di giustizia o di un ufficio di polizia. Nella settimana in cui si celebra la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne la questura di Frosinone, per la campagna permanente della polizia di Stato contro la violenza di genere "Questo non è amore", ha aperto le porte della green room e ha fatto il punto sulle violenze di genere in provincia.

Dopo il lockdown anche in Ciociaria si è avuta un'esplosione delle violenze domestiche. Una violenza che non conosce confini territoriali né tantomeno status sociale, come osservato dagli agenti della questura. Si tratta di situazioni spesso amplificate dallo stato d'inferiorità economica delle vittime o dalla ritrosia di molte donne nel denunciare il proprio marito o compagno per timore delle conseguenze. Non a caso, a volte, ci ripensano e ritirano le querele, almeno per quei reati che sono perseguibili solo a querela.

Le risposte non sono solo penali, ma anche amministrative, come l'ammonimento che ha scopo di controllare il soggetto violento. Poi arrivano le misure cautelari, dal divieto di avvicinamento (anche con il braccialetto elettronico) all'arresto per i casi più violenti o in caso di violazione del divieto di avvicinamento. Nell'ultimo anno si sono contati 120 casi di violenza domestica con 30 misure cautelari adottate, anche in carcere. Sono numeri in aumento. In generale più frequenti sono i maltrattamenti in famiglia, ma non mancano le violenze sessuali, lon stalking come il revenge porn. Insignificanti i casi in cui è l'uomo la vittima. Il paradosso, allora, è che per l'uomo è più difficile denunciare rispetto alla donna.

«Non c'è niente di più difficile che entrare nella dinamica di coppia», osserva il direttore tecnico superiore psicologo della polizia Cristina Pagliarosi che delle vittime evidenzia la tendenza ad «assumere le colpe su di sé, in modo da non comprendere la dinamica e avere una lettura distorta della situazione, finalizzata a giustificare». Insomma, si punta all'illusione di «fare tornare a funzionare il rapporto di coppia come era all'inizio». Di fronte a un uomo che controlla la sua compagna, come ad esempio il telefono, «il troppo dell'uomo viene letto come un grande interesse». Ed è solo l'inizio di una perdita di libertà.

Il tutto va letto nella dinamica dei tempi attuali: «Si è persa la profondità relazionale. C'è un bisogno spasmodico di pubblicare sui social e della competizione sui like che ci sposta da un vissuto profondo alla visibilità sociale. Oggi i genitori sono fan dei figli e questo è deleterio e ha fatto perdere il ruolo d'autorevolezza. L'uomo maltrattante è un bambino narcisista. Siamo passanti da una distanza eccessiva e umiliante a una iper accoglienza». Ovvero dall'epoca in cui ai genitori si dava del lei e si mantenevano le distanze all'epoca dei cellulari e delle chat.

Il commissario di polizia Giuseppe Joubert illustra le problematiche che le donne che denunciano devono affrontare, dall'aspetto economico, alle reazioni familiari, al mantenimento della casa e dei figli. «"Adesso che cosa faccio come mi mantengo?" Si chiedono perché non sanno dove andare. Tuttavia, preferiamo allontanare la donna dalla casa familiare perché se allontaniamo lui saprà sempre dove andarla a cercare. La riservatezza è la cosa principale». Da qui l'aiuto che offrono le case rifugio dove le donne vengono accolte e messe in condizioni di cominciare una nuova vita.

«Nella maggior parte dei casi - aggiunge la Pagliarosi - le donne vogliano restare a casa con i figli ma così sono un bersaglio certo». L'approccio va sempre improntato sulla lealtà: «Empatia e chiarezza con la vittima. Bisogna spiegare che è un inizio», rileva Joubert. Per convincerle a fidarsi. Poi l'altro problema da gestire: i timori per le conseguenze delle denunce. «La vittima vuole che tutto finisca, ma non vuole colpire il compagno». Non a caso spesso sono gli agenti, da soli, scavando a scoprire una realtà ben peggiore di quella denunciata. «A volte le indagini vengono svolte all'insaputa della donna - prosegue il commissario - Poi ci sono i cosiddetti reati spia che ci mettono in allarme».

Può succedere anche che una storia di violenza emerga per caso, come successo qualche tempo fa, quando dopo un danneggiamento di un'auto ci fu la denuncia di un'azienda. Da lì con intercettazioni telefoniche e ambientali emerse una violenza domestica a lungo taciuta. Lei, infatti, non aveva mai denunciato nulla.
«Dal 1998 - prosegue Joubert - c'è una sezione speciale nella squadra mobile per seguire questi particolari reati e per aiutare le vittime nell'immediatezza».

Non sempre è facile orientarsi, tenuto conto che le vittime, per paura, per non farsi riconoscere, si recano in ospedali lontani dai luoghi di residenza. «Abbiamo chiesto di creare un data base centrale per gli accessi ospedalieri. Abbiamo avuto un caso di una donna con venti referti di più ospedali, romani e campani», spiega Joubert. Ma non sempre, soprattutto se distanti nel tempo e di più ospedali, è facile mettere in fila questi referti e dare loro una connotazione unitaria.

I numeri delle violenze indicano che non esistono oasi felici. Osserva la Pagliarosi: «È un fenomeno sganciato dalla cultura, possiamo trovare il medico come il disoccupato. E lo troviamo spalmato in tutti i settori. I nostri numeri sono simili a quelli di altre province. Dopo il lockdown il fenomeno si è scatenato, più si è braccati tanto più si sente il bisogno di liberarsi dal vincolo».
Ma ora si denuncia di più. «L'aumento dell'incidenza delle denunce è un incremento della consapevolezza - conclude la psicologa della polizia - Le donne sanno che una via d'uscita c'è, sanno che non possono subire a vita».

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