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Lo studio

Liste d'attesa: il Lazio è ormai un malato cronico

Secondo il report della Fimmg di Roma nel 91% dei casi i tempi della prestazioni non vengono rispettati. Il 77% dei pazienti si rivolge alle strutture private

Liste d'attesa: il Lazio è ormai un malato cronico

Il disastro dei tempi biblici delle liste d'attesa sembra essere un marchio di fabbrica della sanità laziale. Dopo lo studio di Cittadinanzattiva, che dipingeva un quadro a tinte fosche, a rincarare la dose è adesso un report della Fimmg di Roma. I tempi di attesa in relazione alla tipologia di richiesta effettuata, urgente breve differita o programmata, non sono rispettati, nel 91% dei casi. È questo il dato che emerge da un sondaggio effettuato nei giorni scorsi dal Centro Studi Fimmg Roma, che ha coinvolto 124 medici di medicina generale pari a 165.000 cittadini assistiti.

Il mancato rispetto delle indicazioni di legge comporta che nel 77% dei casi il paziente si rivolga autonomamente a strutture private a pagamento. Tutto ciò nonostante il 62,8% dei medici di famiglia cerchi di prendere in mano personalmente la situazione chiamando direttamente il ReCUP nel 41,3%, o un collega di riferimento nel 17,4%, o direttamente la struttura erogatrice (4,1%). Bocciato poi l'attuale sistema di gestione dei tempi di attesa: il 94,2% si è dichiarato insoddisfatto mentre il 5,8% preferisce non esprimersi in merito. L'impatto della modifica dei codici di priorità è stato definito peggiorativo per quanto riguarda il carico burocratico dall'80% dei medici intervistati, con un impatto per i pazienti nullo per il 38,8% o negativo nel 32,2%.

Alla domanda quali fossero le proposte per migliorare la situazione 3 medici su 4, pari al 74,4%, sono convinti che sia opportuno avere a disposizione un canale diretto con le strutture erogatrici mentre per il 34,7% o uno slot dedicato per le prestazioni più urgenti nel 39,7%, situazione che migliorerebbe per patologie acute (43,8%) o di sospetta natura oncologica (43,8%). La richiesta, di una maggiore integrazione con le strutture ed i servizi aziendali regionali, grazie a strumenti di collegamento diretto, sempre a detta dei sanitari, per il 65,3%, viene meno a causa della scarsa se non nulla conoscenza della mappatura della strutture della rete oncologica regionale, per l'85,1% dovuta alla mancanza di comunicazioni aziendali sulle alle modalità di contatto diretto con le strutture regionali dotate di Pdta Ospedalieri.

I dati sembrano, quindi, concordi nell'evidenziare le attuali criticità nell'offerta carente del ReCUP ( 1/3 di quella effettivamente disponibile), e nella volontà di potenziare la sinergia tra territorio ed ospedale, mediante politiche specifiche, come l'introduzione di slot di prestazioni dedicate a specifiche classi di patologie (ad esempio acute ed oncologiche), anche con la collaborazione dei medici di medicina generale con sistemi di prenotazione diretta per servizi e strutture, che già oggi dispongono di percorsi diagnostico assistiti ospedalieri, purtroppo poco pubblicizzati. Molte di queste proposte sono già previste dalle normative vigenti, ma l'effettiva attuazione non è omogenea a livello territoriale, spesso carente, se non addirittura assente.

A questo proposito un altro dato interessante: il numero di prescrizioni effettuate quotidianamente dal medico di medicina generale risultano sotto al 10% per le urgenti, dal 10% al 30% per le brevi (meno di 10 giorni di attesa) circa il 50% differibili (entro 60 giorni). Ma di tutte queste prestazioni solo il 70% viene prescritto su richiesta del medico di famiglia, il restante 30% è frutto di prescrizioni di altri medici, di specialisti di struttura pubblica, che non prescrive su ricettario regionale ed il 40% di specialisti privati.«Le liste di attesa sono un problema» conclude la Fimmg Roma. «Ci sono in campo ogni giorno oltre 4.000 medici di medicina generale pronti a fare la loro parte. Il buonsenso dice che forse è venuto il momento di non inseguire più modelli astrusi e burocratici e ascoltare invece chi ogni giorno incontra migliaia di pazienti».

Cittadinanzattiva
Quello dello sanità laziale è un mondo da rifondare anche per Cittadinanzattiva. Il 36,5% dei cittadini segnala difficoltà a prenotare prestazioni sanitarie; il 17,6% riscontra, in particolare, due distinte problematiche: tempi lunghi di attesa al Cup per parlare con operatori e mancato rispetto dei codici di priorità previste (Urgente, Breve, Differita e Programmata). Il 10,8% delle segnalazioni riguardano il medico che non prenota/prescrive successivi controlli. A certificare una situazione di sofferenza per il sistema sanitario laziale sono i risultati di un monitoraggio condotto da Cittadinanzattiva Lazio, tra il 15 e il 25 febbraio, cui hanno partecipato 534 cittadini: il 68,1% donne, il 49,3% over 65; il 19,2% ha un'età compresa tra 55 e 64 anni; il 17,8% ha tra i 45-54 anni; il 12,3% ha tra 31-44 anni. Il 79,7% risiede nella provincia di Roma; l'8,1% risiede nelle province di Latina e Frosinone, il 4,1% dalla provincia di Viterbo. Non ci sono risposte dalla provincia di residenti nella provincia di Rieti. Con il 42,5% gli esami diagnostici sono la prima voce come maggiormente problematica segnalata dai cittadini seguita con il 28,8% delle prime visite specialistiche, con l'8,2% degli interventi chirurgici, 5,5% visite controllo/Follow up, 4,1% Screening Oncologici e via via tutte le altre voci. Il mancato rispetto dei tempi è sostanzalmente la regola se si pensa che per tutte e quattro le tipologie di prescrizioni (U urgente entro 3 giorni, B Breve entro 10 giorni, D Differibile entro 30 giorni, P Programmata entro 120 giorni) la non osservanza dei tempi è la regola con un rapporto che va da 1 rispettata ogni 2 non rispettata Urgente; 1 a 3 per Breve; 1 a 5 Differita; 1 a 2 Programmata. Rispetto alla distanza dal luogo di residenza di quello della prestazione, il 35,7% dei rispondenti è dovuto andare in una Asl differente dalla propria; il 28,6% è andato in un Distretto della propria Asl, ma non nel proprio di residenza; il 21,4% ha trovato la prestazione nel proprio Distretto di residenza. Cittadinzattiva ha, poi, chiesto se la prestazione sia stata fatta o meno. Il 41,4% ha fatto la prestazione nel pubblico; il 20% l'ha fatta in intramoenia; un altro 20% non ha fatto la prestazione; l'8,6% ha fatto la prestazione in extramoenia; il 5,7% ha fatto la prestazione fuori regione. Via via le altre voci con percentuali più basse. Per chi non ha fatto la prestazione quale è stato il motivo? Per il 50% distanza troppo importante dal luogo di residenza; per il 18,4% la disponibilità economica; per il 15,8% la disponibilità di tempo. Per chi ha fatto la prestazione in intramoenia: il 79,3% ha fatto la prestazione in intramoenia perché non aveva garanzia che nel pubblico avrebbe fatto in tempo la prestazione; il 13,8% è stato inviato dal Cup per tempi lunghi nel pubblico; il 6,9% ha fatto intramoenia per libera scelta. «Tre anni fa - dice Cittadinanzattiva - avevamo lanciato delle proposte sul governo delle liste di attesa. È necessario procedere con l'immissione in servizio di un numero di operatori sanitari sufficiente a garantire le attività sanitarie di diagnosi e cura altrimenti tutte le proposte si scontrano con l'insufficienza dovuta alla situazione decennale del blocco turno over, in via di risoluzione ma ancora pesantemente presente».

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