Spazio satira
Il disco
10.03.2023 - 22:00
Il 5 marzo del 1993 (e quindi esattamente trent'anni fa) venne pubblicato quello che personalmente ritengo uno degli album "pop" più belli di sempre. Sto parlando di "Ten summoner's tales" di Sting, disco che probabilmente costituisce il vertice artistico della brillante carriera solistica del geniale e raffinato artista britannico, e del quale – proprio in questi giorni – è stata rilasciata una speciale edizione celebrativa. L'insolito titolo è il frutto di un curioso gioco di parole tra il nome di uno dei personaggi dei celebri "Racconti di Canterbury" di Geoffrey Chaucer ("The Summoner") e quello vero dell'ex bassista dei "Police" (che infatti, all'anagrafe, è registrato come Gordon Matthew Thomas Sumner).
L'album fu candidato nel 1994 a ben sei Grammy Awards, ed alla fine vinse quelli per il "Miglior sonoro", per la "Migliore interpretazione vocale maschile" della splendida "If I ever lose my faith in you", e per il "Miglior video musicale in forma lunga". Non riuscì tuttavia ad aggiudicarsi il premio più prestigioso ed ambito di "Album dell'anno", ma solo perché gli venne (ingiustamente) preferito quello che conteneva la colonna sonora del famoso film "The bodyguard" (il quale, tuttavia, racchiudeva una sola canzone degna di nota, quella "I will always love you", dell'indimenticata ed indimenticabile Whitney Houston). "Ten summoner's tales" fu registrato nella Lake House di Wiltshire (che, a quell'epoca, era la casa nella quale Sting viveva), venne mixato al Townhouse Studio di Londra, ed infine fu masterizzato in uno studio di New York.
Per farsi aiutare ad impreziosire le dodici tracce che lo componevano il grande bassista britannico volle accanto a sé – come sua abitudine – musicisti di livello assoluto. Basterebbe ad esempio pensare, solo per citarne alcuni, a Vinnie Colaiuta (alla batteria), a David Sancious (alle tastiere), al fido Dominic Miller (alla chitarra), e a David Sanborn (al sassofono). Quello che colpisce di quell'album non è soltanto la notevole qualità di gran parte dei suoi brani, ma anche l'evidente equilibrio degli arrangiamenti, e l'efficace semplicità dei suoi testi. Ne venne fuori un prodotto artistico di rara bellezza, che cattura sin dalla prima nota, e che non sembra avere molti punti deboli, anche ad un ascolto attuale.
Le tracce degne di nota sono infatti diverse. Tra esse segnalo in primo luogo la già citata "If I ever lose my faith in you", canzone alla quale è affidato il compito di aprire il disco attraverso un inizio musicale folgorante, e che ha un testo che non solo dimostra il livello delle qualità poetiche di Sting ma anche ci offre l'idea della sua lucida visione politica, economica, religiosa ed etica ("You could say, I lost my faith in science and progress, You could say, I lost my belief in the Holy Church, You could say, I lost my sense of direction, You could say, all of this and worse, but If I ever lose my faith in you There'd be nothing left for me to do"). Splendide sono poi anche le altrettanto celebri "Fields of gold", "Shape of my heart", e la fresca, divertente ed ironica "Epilogue"; ma – a mio modesto avviso – a dover essere ricordate sono soprattutto "Seven days" e "It's probably me", pezzi che, più di altri, catturano l'attenzione durante l'ascolto.
La prima la ritengo un vero e proprio capolavoro, e questo sia a livello musicale che di testo. Essa è infatti impreziosita da una ritmica sincopata di rara bellezza (con Colaiuta che utilizza i suoni dei piatti con un'impareggiabile raffinatezza, e che esegue un "tempo dispari" che ha fatto scuola, e che avvolge e coinvolge sin dalle prime battute). Le liriche del brano – in verità piuttosto semplici, ma molto dirette ed evocative – si concludono con un curioso richiamo a quelle di "Every Little thing she does is Magic", vecchio successo dei "Police" ("Do I have to tell a story, Of a thousand rainy days since we first met, It's a big enough umbrella, But it's always me that ends up getting wet"). "It's probably me" rappresenta invece una raffinatissima rilettura del brano che una manciata di mesi prima era stato il "main theme" di un film di grande successo del 1992 ("Arma Letale 3", con Mel Gibson e Danny Glover) e che, per la versione cinematografica, era stato registrato avvalendosi della prestigiosa interpretazione del grandissimo Eric Clapton.
In conclusione può dunque affermarsi che "Ten summoner's tales" rappresenta molto probabilmente la perfetta "summa" dell'arte compositiva di Sting. Forse perché esso – meglio di altri suoi dischi – riesce a fondere e modulare perfettamente le "anime" rock, jazz, funky, blues, country e pop, che hanno da sempre caratterizzato la sua leggendaria creatività. Un disco molto ispirato, ben scritto, perfettamente arrangiato, e divinamente suonato. Uno di quelli che non può davvero mancare nella nostra discoteca ideale.
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