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A spasso nell'Unicas

Nuovi politici e linguaggio mediocre: le bacchettate di un docente di Cassino

Giuseppe Antonelli, docente di linguistica italiana all'Università cassinate, critica il loro modo di esprimersi. E sui social. "Lì si urla ma non rappresentano l'Italia"

Il "Governo del cambiamento", al netto delle opinioni che ciascuno può avere sull'operato di questi primi otto mesi, un cambiamento reale lo ha certamente portato. Ed è quello del linguaggio. Che può piacere, o meno. Ma com'è cambiato il linguaggio dei nostri governanti? Chi da sempre è un attento osservatore dei mutamenti della lingua italiana anche in politica è Giuseppe Antonelli, docente di linguistica italiana all'Università di Cassino.

Il professore - che, tra le altre cose, collabora all'inserto «La Lettura» del «Corriere della Sera» e racconta storie di parole su Rai Tre (Kilimangiaro) - di recente è stato interpellato sul tema dal settimanale "L'Espresso". E cosa dice il linguista Giuseppe Antonelli, che a Cassino ha formato generazioni di studenti?

Che il cambiamento c'è, ma non è cominciato però solo con Salvini e Di Maio. Incalzato da Sabina Minardi, infatti, spiega: "Tutto è cominciato con Berlusconi, che ha applicato alla comunicazione politica il meccanismo di quella pubblicitaria: non mi pongo come modello positivo, superiore, fingo di pormi al livello dell'interlocutore. Ora mi sembra che siamo andati oltre: questo specchio è diventato uno specchio deformante, non ci si accontenta più di rispecchiare le debolezze, la mediocrità di lingua di tutti i giorni, ma si attinge al livello più basso della lingua di tutti i giorni.

Come uno specchio che restituisce agli italiani il peggio del loro modo di parlare. E crea un circolo vizioso: la gente si sente autorizzata a usare l'insulto perché lo fanno i leader. Non stupisce più: tutt'altro che ovvio. Quando Berlusconi raccontava barzellette scorrette, c'era ancora una parte dell'opinione pubblica che si scandalizzava. A forza di andare oltre, ci siamo anestetizzati. Consideriamo normale che i politici si esprimano così". 

Ma quand'è che si è iniziato ad andare oltre? "Io - spiega il docente dalle colonne del settimanale - credo che un elemento determinante sia stato il vaffa grillino, il momento in cui qualcosa che era relegato alla protesta anche un po' sterile dell'uomo della strada è stato impugnato come slogan politico. Si è capovolta la situazione. Se il "vaffa" diventa slogan del partito di governo, è chiaro che il meccanismo della parolaccia in sé non è un meccanismo che desta più scandalo. Ma questo non va bene, perché invece dobbiamo indignarci".

Ma il linguista cassinate ne ha anche per la minoranza di centrosinistra: "L'opposizione  - dice - dovrebbe cominciare a riflettere su una visione propositiva della politica. La critica al congiuntivo, invece, è controproducente, non fa che confermare quell'atteggiamento additato come radical-chic. L'opposizione dovrebbe poi riflettere molto attentamente con una classe intellettuale che ha bisogno di essere sollecitata, e non intendo solo letterati e scrittori, ma economisti, architetti, sociologi, con i quali creare un pensiero nuovo, e le parole per veicolarlo".

Infine, il professore, parlando del suo nuovo libro "Il museo della Lingua italiana", mette in guardia anche dai social: "Il rumore di fondo che vediamo nei social è parte di un'illusione ottica. I social non sono l'Italia, sono la parte di italiani che strilla di più, ma non è detto che sia la maggioranza. E su questo dobbiamo essere molto lucidi. Una parte degli italiani avrebbe voglia di parlare di politica e di ripensare al futuro dell'Italia in un'altra maniera. A questa parte del Paese, che non è affatto detto che sia minoritaria, ancora nessuno ha trovato il modo di rivolgersi in maniera seria, autorevole, credibile. Io sono ottimista: non credo che questo modo di parlare rispecchi la maggioranza degli italiani".

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