Spazio satira
L'intervista
13.06.2023 - 21:00
Docente, critico cinematografico, direttore artistico, ricercatore, scrittore ma, anche, un attento e appassionato spettatore che ci racconta dello stato del cinema, oggi. Gerry Guida, frusinate, risponde alle domande di Ciociaria Oggi.
Quando si è avvicinato al cinema?
«Da sempre direi. Fin da adolescente sono cresciuto con il piccolo e grande schermo, mi sono "formato" noleggiando vhs nelle ormai leggendarie videoteche degli anni 90, all'epoca non c'erano piattaforme di sorta evidentemente. Una volta presa coscienza di come il cinema riuscisse ad attrarre a sé tutte le arti decisi, dopo gli studi classici, di laurearmi in Storia e critica del cinema all'Università "La Sapienza" di Roma. Successivamente alla laurea ho frequentato corsi e masterclasses e ho cominciato a occuparmi, oltre che di critica, anche di organizzazione e gestione di eventi culturali, in particolare legati alla cinematografia».
Le piattaforme televisive, come Prime, Netflix, Sky… e le serie televisive stanno cambiando il cinema?
«Sicuramente, è un dato di fatto ormai. La pandemia, poi, ha decretato in modo definitivo questo passaggio epocale, dalla sala alla fruizione "home". La tecnologia in molti settori ha cambiato il modo di relazionarsi con gli altri – si pensi ai social – e lo stesso sta accadendo con il cinema, che sta diventando una sorta di esperienza personale che esclude quella pubblica. La sala vive soltanto grazie a determinati prodotti, o "franchising", come nel caso di film legati ai fumetti, Marvel e Dc insegnano, ma questo non è abbastanza purtroppo. La sala è riuscita negli anni a metabolizzare tutte le rivoluzioni che hanno cambiato il cinema, dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dalla pellicola al digitale, ma, evidentemente, nulla può al cospetto delle piattaforme. La sua crisi è certificata e non resta che una sana nostalgia per quello che è stato!».
Quindi, secondo lei, ci potrà essere ancora spazio per le sale?
«La sala cinematografica un tempo era un luogo quasi sacro. Assistere a una proiezione equivaleva a un vero e proprio rituale; la condivisione con il pubblico, il buio della sala, la visione sul grande schermo erano elementi imprescindibili. Per decenni la sala ha rappresentato un luogo magico, pensiamo alle atmosfere narrate alla perfezione in un film come "Nuovo Cinema Paradiso", per esempio, e alla sacralità della cabina di proiezione. Oggi tutto questo non esiste più, se è vero che ci si accontenta persino di vedere un film sullo schermo di uno smartphone! Il cinema forse non morirà mai, ma lo stesso non si può dire per i cinema…».
La crisi attuale del cinema italiano da che dipende?
«In buona parte dalla scrittura, dalle storie. Abbiamo avuto grandissimi sceneggiatori che hanno segnato stagioni irripetibili come il neorealismo e la commedia all'italiana, cito alcuni nomi: Suso Cecchi D'Amico, Sergio Amidei, Cesare Zavattini, Age & Scarpelli, Tonino Guerra, Ugo Pirro, Ennio Flaiano, Rodolfo Sonego. Per fare degli ottimi film, servono prima di ogni cosa delle storie valide, delle idee, e oggi, poi, non esistono più neanche i cosiddetti generi cinematografici che hanno caratterizzato il nostro cinema per anni. La top ten degli incassi quindi è appannaggio esclusivo di produzioni straniere e rispetto ad altri Paesi le sale italiane sono quelle che registrano il calo di spettatori più evidente. Nel 2022 il 60% degli italiani non ha messo piede in sala».
Il cinema italiano può ritrovare i fasti di una volta?
«Non è cambiato soltanto il modo di fare cinema, sono cambiati la nostra società e il nostro Paese. Abbiamo vissuto tra gli anni 50 e 80 una stagione irripetibile, con autori del calibro di Fellini, Antonioni, De Sica, Visconti, Pasolini, Bertolucci e interpreti come Mastroianni, Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Totò, Volonté, Cardinale, Loren, Magnani, Vitti. Tutto il mondo invidiava e prendeva a riferimento il nostro cinema, credo che non si possa più tornare a quei fasti, è stata un'età dell'oro senza eguali».
Quali sono i filoni attualmente vincenti del cinema italiano?
«Il nostro essenzialmente è un cinema di commedia, salvo rare eccezioni, Bellocchio, Sorrentino, Garrone e pochi altri. Ma a differenza del passato è una commedia che non prevede più veri elementi di satira e di costume, i film che ci hanno regalato registi come Scola, Monicelli, Risi o Germi sono irripetibili».
Attore, regista e film preferiti, anche del passato: quali e perché?
«È sempre difficile stilare una classifica, quando si fa riferimento all'arte. Mi sono laureato con una tesi su Woody Allen, che ha segnato profondamente la parte iniziale della mia formazione cinematografica. Ho amato follemente capolavori come " Io e Annie" e "Manhattan" e la New York tanto idolatrata da Allen. Successivamente registi come Federico Fellini, in particolare "8½", Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci, Ingmar Bergman, Orson Welles, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e soprattutto Stanley Kubrick, "2001: Odissea nello spazio" e "Barry Lyndon" su tutti, hanno aperto nuovi orizzonti. Tornado a Kubrick, credo sia stato il più grande talento "visionario" della storia del cinema. Tra gli attori italiani posso citare Vittorio Gassman, a cui ho dedicato due libri, Marcello Mastroianni, Tognazzi, Manfredi, Sordi. Tra quelli stranieri sono cresciuto con Robert De Niro, Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Marlon Brando».
Docente, critico, direttore artistico, ricercatore, spettatore: qual è la sua attività preferita?
«Ho sempre amato ogni aspetto di questa professione, adoro pianificare e organizzare una rassegna o un festival così come nutro una profonda curiosità verso il "dietro le quinte" e tutte quelle incredibili storie che prendono vita nei set cinematografici. Nel corso degli anni ho avuto la fortuna di incontrare, intervistare e in molti casi stringere importanti amicizie con molti dei miei "miti" giovanili. Condividere i loro ricordi più personali è stata un'esperienza unica. Spesso ciò che si nasconde dietro lo schermo può rivelarsi di gran lunga più affascinante e interessante della stessa finzione filmica, perché la vera magia del cinema in fondo è quella che si nasconde tra un ciak e l'altro, consumata tra attese, sogni e speranze. La scrittura è una grande passione e mi ha dato tantissime soddisfazioni: se proprio dovessi scegliere, non potrei mai rinunciare alla mia curiosità e al desiderio di conoscenza».
Qual è la situazione "cinema" in Ciociaria?
«La nostra terra è molto legata al cinema, anche perché sotto questo aspetto molto fertile: è stata la patria di grandi attori e registi come Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica, Nino Manfredi, Carlo Ludovico e Anton Giulio Bragaglia e, estendo la ricerca anche ai confini della Ciociaria storica, l'attrice Gina Lollobrigida, il regista Giuseppe De Santis e l'autore della fotografia, il premio Oscar Pasqualino De Santis. Inoltre ha saputo regalare incredibili storie umane e professionali come nel caso dell'assistente personale di Kubrick, Emilio D'Alessandro. Un lontano passato indubbiamente, ma anche nel presente riesce ancora a offrire al cinema professionisti di assoluto valore come il produttore Andrea Iervolino, il regista Stefano Reali, l'attrice Gioia Spaziani o il compositore Sandro Di Stefano. Mi piace quindi segnalare che a Frosinone trova sede la Vargo Film, una società di produzione che opera sia a livello nazionale che internazionale, con ottimi risultati, fondata e diretta tra gli altri dal regista/sceneggiatore Alessandro Riccardi e dalla scenografa Viviana Panfili».
La sua ultima fatica letteraria?
«Da pochissimo è uscito alle stampe per il mercato americano il mio primo volume in lingua inglese, dedicato al noto cinematographer giapponese-americano Hiro Narita, dal titolo "Hiro Narita. Depth of Field: Life and Work of a Cinematographer", edito da Artdigiland di Dublino. Un libro intervista che si è rivelato un appassionante viaggio nel cinema americano degli ultimi cinquant'anni. Insieme abbiamo rivissuto film iconici e grandi successi hollywoodiani come "Zabriskie Point", "More American Graffiti", "Star Wars: Return of The Jedi", "The Last Waltz", "Never Cry Wolf", "Star Trek VI: The Undiscovered Country", "The Rockeeter", "Dirty Pictures", "Always", "The Time Machine", "Hocus Pocus", "Honey", "I Shrunk The Kids", "Blue Velvet", "James and the Giant Peach", "Unbearable Lightness of Being" e tanti altri. Tra noi è nata una bellissima amicizia».
Ha un sogno professionale da realizzare?
«Più che un sogno, vorrei lanciare una proposta: che un giorno nella nostra provincia possa vedere la luce uno spazio multimediale inclusivo, dedicato alla settima arte, fruibile da studenti e studiosi, in cui poter allestire mostre e retrospettive, dotato di un proprio archivio in cui poter raccogliere documenti, memorabilia e testimonianze riguardo l'importanza che il cinema ha avuto e continua ad avere nel nostro territorio: la memoria va preservata e coltivata per poter vivere appieno il presente. Lo dobbiamo alle future generazioni».
«Il cinema non morirà mai, ormai è nato e non può morire: morirà la sala cinematografica, forse, ma di questo non mi frega niente» (Mario Monicelli). Congedandosi dai lettori di Ciociaria Oggi, Gerry Guida sembra salutarli rinverdendo il famoso aforisma del grande regista italiano, con una piccola variazione nel finale. E già, perché il nostro intervistato tiene ancora tanto a quel luogo sacro, crogiuolo di informazione, cultura e coscienze, chiamato, con un affettuoso termine retrò, "cinematografo"…
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