L'operazione
03.03.2018 - 11:00
Confische tra le cave di Coreno. E non solo. Ieri mattina la Direzione investigativa antimafia di Roma, in esecuzione di un provvedimento emesso dal Tribunale penale di Latina - Sezione Misure di Prevenzione - su proposta del direttore della Dia ha confiscato beni per oltre 22 milioni di euro all'imprenditore Vincenzo Zangrillo. Confische che, oltre ai terreni di Coreno per l'attività estrattiva, hanno riguardato Casalvieri, Napoli e Isernia: un patrimonio immenso - tra conti correnti, immobili, società e terreni - in cui, secondo la Dia, Zangrillo (ritenuto vicino ai Casalesi) avrebbe reinvestito negli anni. Con una carriera che va di pari passo con i problemi giudiziari: dagli anni '80, dopo che la sua attività di fabbro diventa una piccola carrozzeria, poi un'azienda di autotrasporto con un parco camion fino alle attività estrattive. Negli anni i guai con la giustizia aumentano: indagato negli anni '90 per punzonature irregolari sui telai di alcune motrici, poi per riciclaggio, contraffazione e ricettazione. Alcuni dei suoi camion finiscono nel '98 in una maxi operazione antidroga di traffico internazionale ma gli altri arrestati si assumono ogni responsabilità e lui esce di scena. Nel 2002 l'accusa è di traffico di tabacchi. Dalle inchieste e dalle aule di giustizia ne è uscito praticamente (quasi) sempre indenne. Anche quella volta che viene accusato di aver minacciato il titolare di una ditta di autotrasporti impossibilitato a pagare una rata di un contratto di locazione di un mezzo: il titolare viene seguito e picchiato da Schiavone «per sistemare l'amico mio di Formia», come riportato negli atti, e lui finisce per essere rinviato a giudizio per esercizio arbitario delle proprie ragioni con successivo proscioglimento in mancanza di querela. Ieri, però, è arrivata la confisca. Un risultato importante per la Dia, anche per l'accoglimento della misura di sorveglianza speciale per tre anni: secondo i giudici «tutti gli elementi già indicati nel precedente sequestro descriverebbero un soggetto che ha vissuto, almeno in parte, con i proventi di attività delittuose». «In secondo luogo perché ha intrattenuto rapporti costanti con la malavita organizzata facendo valere le sue le sue amicizie camorristiche anche per risolvere questioni commerciali. In terzo luogo -hanno continuato i giudici - perché non ha esitato a porre i suoi autocarri al servizio di organizzazioni criminali inquinando le imprese ch operano in maniera lecita».
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